Una nuova idea di wine bar & bistrot prende forma nella capitale. Unico a Roma nel suo genere, il Brylla è la mecca degli amanti del vino per l’alto numero di etichette - 200 - offerte al calice: vini di piccoli produttori, grandi firme, vini tradizionali, biodinamici, evergreen (Barolo, Brunello etc); un abbraccio alle tendenze che accontenta il cliente più curioso, lo sperimentatore di novità, alla ricerca di abbinamenti diversi a ogni portata. In questo locale “vinocentrico” del quartiere Trieste-Parioli la cucina è un’appendice, un po’ defilata nel suo ruolo d’accompagnamento, ma gustosa e di personalità, capace di sorprendere ai primi bocconi.
Il locale ha aperto a ottobre 2016, dopo una profonda riflessione che ha riguardato vari aspetti: il design d’interni a tema vinicolo (curato dalla Strato di Roma), il bancone personalizzato nella sala vista strada (per il consumo di tapas e vini), il forno a brace Josper prodotto su misura (dell’omonima azienda spagnola), le decorazioni a tema nella sala bistrot più interna, fino ai dettagli come i porta-calici sospesi (poliedri) dell’artista Tommaso Caravini. L’elemento centrale della proposta consiste però in un piccolo attrezzo del mestiere, l’estrattore Coravin, un sistema di mescita che preleva il vino attraverso un ago: questo buca il tappo in sughero e come una “siringa” estrae il liquido senza iniettare ossigeno nella bottiglia, sfruttando anche le proprietà elastiche del sughero, che richiudendosi impedisce all’aria d’entrare. Così il vino si conserva e la proposta si fa ampia e flessibile con appena tre estrattori, a 290€ l’uno. Quello che può apparire come uno spot all’azienda americana è in realtà la constatazione di come uno strumento del genere si renda strategico per un’offerta così strutturata. Non è l’unico modo, però. Si veda, per esempio, il caso del Belthazar di Capetown che propone 250 etichette di vini sudafricani al calice grazie a una parete di macchine erogatrici all’azoto.
Ampia e flessibile, la carta dei vini è raggruppata in tre categorie: i vini Scacciapensieri, cioè i più beverini; i Comfort wines, più succulenti e corposi; e i Riflessivi, più complessi e caratterizzati. Tutte le etichette, escluse le bollicine, sono proposte in quattro modi: l’assaggio di calice (circa mezzo calice); il calice; la mezza bottiglia (in vetro anonimo, in cui è versato il vino); e la bottiglia intera. Il cliente curioso si diverte e con una decina di euro può arrivare a 4-5 assaggi: per esempio può assaggiare un Etna Bianco di Planeta 2,5€ (5€ il calice) o, agli stessi prezzi, il Riesling Trocken Forst di Von Basserman-Jordan.
Basta allora un piccolo attrezzo del mestiere per rivoluzionare un wine bar? Ovviamente no. Bisogna far ruotare tanto la cantina, selezionare spesso nuove proposte, aggiornare la carta, formare il personale, far dialogare sala e cucina e tanto altro. Anche, perchè no?, superare le resistenze del cliente più tradizionalista. «Nonostante tutto il grosso della clientela rimane sugli stessi vini, ma c’è una fetta che ama cambiare e sperimentare - ammette Marcella Capaldo -. Qualcuno viene anche a comprare bottiglie più ricercate, difficili da trovare altrove. Tuttavia il locale non ha un concept elitario per esperti, ma nasce come spazio conviviale, un punto di riferimento nel quartiere».
Anche se è presto per un bilancio (è aperto da ottobre) la formula sta avendo successo. E non solo per l’effetto novità. È presto anche per valutare se la flessibilità paga di più dell’offerta per singola bottiglia. La domanda è: vendere il vino per assaggi e calici accresce il rendimento e aiuta il business? «In teoria sì - spiega Capaldo -, la bottiglia diventa più remunerativa. Però è vero che in pratica la gestione della cantina si fa più complessa e il costo del servizio aumenta un po’. Inoltre – conclude la titolare – gli estrattori sono utilizzabili solo con tappi di sughero e noi abbiamo anche bottiglie inadatte, come le bollicine oppure quelle tappati con materiali diversi dal sughero».