Negli ultimi vent’anni la birra si è guadagnata un posto di tutto rispetto sulle tavole degli italiani.
Merito del fiorire di birrifici artigianali e brewpub, dell’impegno promozionale dei grandi marchi italiani e stranieri e di una maggiore cultura birraria dei nostri connazionali. Anche la qualità della birra nazionale è decisamente migliorata, tant’è che se ne sono accorti all’estero e ormai esportiamo in tutto il mondo.
Da un capo all’altro della Penisola fioriscono birrerie e locali di nuova generazione dove la birra è il pilastro principale dell’offerta o una delle componenti essenziali del mix. Un esempio è il Queen Makeda Grand Pub di Roma: aperto nel 2014, ha ben 40 spine da cui si spillano birre artigianali italiane e straniere di 15 diversi stili a rotazione. La cosa più interessante, però, è che oggi non è raro trovare una selezione di birre anche nelle carte dei ristoranti stellati, né imbattersi in piatti in cui la birra è protagonista sia per l’abbinamento, sia come ingrediente. Non male, per un Paese tradizionalmente vinicolo, in cui la birra, fino a pochi decenni fa, era relegata in genere a una funzione puramente dissetante e a modalità di consumo molto informali, abbinabile tutt’al più a un panino o a una pizza.
Gli esempi eccellenti non mancano. Moreno Cedroni, chef patron della Madonnina del Pescatore di Senigallia, due stelle Michelin, è stato tra i primi ad “aprire” l’alta ristorazione alla birra. Suoi piatti emblematici come la costoletta di rombo con pastella alla birra, erbe di campo e trippa di coda di rospo. O la spigola di amo arrostita, con purea di patate al tartufo nero, melanzane e salsa alla birra scura, con abbinamento di birra. O, ancora, l’anguilla con pappa di pomodoro e gelatina di birra. «Alcuni anni fa - racconta Cedroni - usavo molto la birra in cucina, ora un po’ meno, mi sto concentrando su un altro filone di sperimentazione, i fermentati». Alla Madonnina del Pescatore, la carta dei vini ha una piccola sezione dedicata a cinque birre italiane.
Diverso il ruolo della birra al Clandestino susci bar, l’altro locale di Cedroni a Senigallia, dove la richiesta è molto alta, tanto che c’è una carta delle birre dedicata. Se Cedroni è stato un precursore, oggi la presenza della birra in cucina alla stregua di ingrediente è un fatto compiuto e sono molti i giovani chef che la usano per le qualità aromatiche che apporta ai piatti.
«Uso la birra abbastanza spesso» racconta Diego Rossi di Trippa, neo-trattoria di Milano. «Mi piace il suo retrogusto di lievito. E, poi, al pari del vino o degli infusi, si presta per cucinare, è un liquido aromatico che può dare sapore». Rossi usa la birra, per esempio, per cucinare le animelle o per preparare le pastelle per la frittura. Oppure la gelatina «tremula, molto morbida» servita con la lingua, che «ha una consistenza solida nel piatto, ma in bocca si scioglie. Nei piatti - rivela lo chef - mi piace molto associare la birra al malto d’orzo o al luppolo, come nel risotto al luppolo selvatico con animelle glassate al malto d’orzo e servito con riduzione di birra o spuma di birra».
Cristiano Tomei, de L’imbuto di Lucca, seleziona personalmente le birre del ristorante. Sono soprattutto belghe, ma anche inglesi, irlandesi e ceche. «Non ho schemi fissi, anche perché nel mio ristorante non c’è menu e le birre sono scelte di volta in volta. Però sono esigente. Anche perché in Italia c’è buona volontà di fare birre artigianali ma, salvo eccezioni, non sono buone come all’estero e costano molto. Sono appassionato di lambic, uno stile che in Italia non è popolare: sono birre gastronomiche per eccellenza, perché si sposano bene ai cibi». Tomei le usa anche per cucinare, come nel caso del Piccione appeso su una piastra calda: il calore che sale lo cuoce lentamente; con le alette, invece, viene preparato un brodo poi tirato con una kriek. Nella cucina di Tomei le lambic entrano anche nella preparazione di brodi e nella marinatura dei crostacei.
«La birra mi piace come bevanda e quando posso la uso come ingrediente» - dice Giuseppe Lo Iudice del Retrobottega di Roma, che in passato ha vinto un concorso indetto da una grande marca birraria nazionale. La ricetta premiata è un dolce, la Banana (s)maltata. «È molto difficile usare la birra in cottura - racconta lo chef - perché si perde l’anidride carbonica. Svanisce, quindi, la frizzantezza, svanisce l’alcol, ma resta una leggera aromaticità. La sfida di questa ricetta è stata di ‘ricreare’ la birra nel dolce, usando gli stessi ingredienti che si trovano nella birra, come il malto, tostato e ridotto. Meringhe alla birra sostituiscono la schiuma. La frizzantezza è stata restituita con i Frizzi Pazzi. La banana mi ricorda il sapore di una birra che mi piace». Al Retrobottega in carta ci sono 6-7 etichette di birrifici laziali e le vendite sono di poco inferiori a quelle del vino.
Giuliano Correnti, del Pappafò di Camerino, è un cultore di birra da 20 anni, è docente di corsi per diventare bier sommelier e nel ristorante propone percorsi di degustazione che abbinano 5 piatti a base di prodotti del territorio ad altrettante birre scelte tra le 50 etichette da tutto il mondo che a rotazione compongono l’offerta. «La birra in abbinamento - spiega - deve pulire il palato e far risaltare i sapori del piatto». Correnti la usa come ingrediente in due modi: per le marinature, specie di pesci grassi (usando una birra acida, per es. una lambic) e per le cotture a bassa temperatura, dove la scelta va su birre come le Bock.