Paolo Marchi, giornalista, fondatore di Identità Golose, congresso di cucina d'autore
La cucina italiana è consacrata a livello internazionale, e questa è la buona notizia degli anni recenti. Un tipo di notorietà che fa benissimo a tutto il comparto della ristorazione. Massimo Bottura è salito al primo posto, nel 2016, nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants. È stato un traguardo simbolico, ma significativo di una tendenza. Bottura, Alaimo, Crippa, Bartolini e tanti altri, sono i nomi che portano il valore della nostra cucina in giro per il mondo. Un altro costume che si è diffuso e che credo manterrà un valore è la tendenza salutistica nell’approccio al cibo. Mi piace definirmi, provocatoriamente, un vegano onnivoro: su 14 pasti principali a settimana, se per 2 o 3 mangiamo solo legumi o verdura, ci fa solo bene, mentre non funziona la rigidità del “mangio solo” questo o quello. Avremo sempre delle nicchie di qualità per carne e pesce, ma credo si consumerà complessivamente meno carne rossa. Il boom di vegetarianesimo e veganesimo, peraltro molto recente in Italia, si può ridimensionare nel futuro, ma resterà una maggiore attenzione a non consumare troppa carne e pesce. Di questo si deve tenere conto. Credo anche che vedremo sempre più condizionamenti, nella nostra dieta e nel nostro modo di cucinare, provenienti dalla mescolanza di culture che si genera nel mondo con il movimento continuo delle popolazioni. Attenzione a due aspetti: alla cucina etnica che si sviluppa assieme alla società multietnica e ai condizionamenti che la cucina subisce dai dettami delle religioni. Si tratterà di un arricchimento, ma c’è anche un rischio nella crescente ignoranza sulla cucina tradizionale italiana. Oggi molti giovani vanno all’estero in nazioni “di tendenza” - penso al Nord Europa o al Sudamerica - mentre la varietà della cucina italiana è incredibile. Un cuoco del Nord dovrebbe andare a imparare al Sud e viceversa, perché la nostra cucina è una somma di tante cucine locali e regionali.