Seppur a passo di lumaca, il mercato della ristorazione continua ad andare avanti. E chiude il 2016 con un lieve crescita (inferiore all’1%) sia nelle visite sia nella spesa media, confermando il trend avviato nel 2015. Secondo i dati dell’osservatorio Crest di The Npd Group Italia nel 2016 i ristoranti hanno performato un po’ meglio dei bar: «È un dato in controtendenza rispetto ai maggiori mercati europei - spiega Matteo Figura, responsabile divisione foodservice di The Npd Group Italia -, legato al fatto che da noi le catene hanno un peso minore. E sono proprio le insegne delle catene, in tutti i principali mercati europei, Italia compresa, quelle che hanno saputo meglio degli indipendenti raccogliere i frutti della ripresa. Merito di ambienti più accoglienti, di maggiori capacità di comunicazione e promozionali, di un maggior dinamismo nell’adeguare la propria offerta ai cambiamenti del mercato. Ci aspettiamo che questa tendenza continui, anche perché l’Italia è entrata nel mirino di molte nuove insegne internazionali desiderose di espandere la propria presenza ed è considerato un mercato con un elevato potenziale di sviluppo ».
Le pizzerie (+1,1% nelle visite) e i ristoranti etnici (+1,2%) mostrano risultati migliori rispetto alla ristorazione tradizionale (+0,4%): «I clienti - afferma Figura - premiano le formule più economiche, soprattutto quando curano l’aspetto ludico ed esperienziale. La ristorazione tradizionale risente del fatto che, rispetto ad altri segmenti del fuori casa, bar in primis, è decisamente più lenta nel rinnovare ambienti, stili di servizio e formule per adeguarle ai nuovi comportamenti e stili di consumo della clientela».
Il fenomeno più significativo del 2016 è la forte crescita del delivery, che in un anno ha messo a segno una crescita dell’8,6%. «Un incremento legato soprattutto al dinamismo dei vari aggregatori, da JustEat a Deliveroo e Foodora - continua Figura -, favoriti dall’enorme diffusione degli smartphone. Un fenomeno che i ristoratori possono cavalcare, a patto di stare attenti a tutte le implicazioni sia economiche sia organizzative che nel medio periodo questa scelta comporta. La prima è che in qualche misura la crescita del take away avviene a scapito della cena al ristorante, che infatti nell’ultimo anno ha registrato un calo di visite del 2,1%. Ma vanno tenuti nella dovuta attenzione soprattutto gli aspetti economici: lo scontrino medio della cena a domicilio è infatti sicuramente più basso rispetto a quello del cliente in sala, a maggior ragione se il personale è capace di vendere. Senza contare che tutti i principali aggregatori trattengono una commissione significativa sul valore dell’ordine».
A fronte di un calo delle cene al ristorante, si registrano un discreto incremento dei pranzi (+2,4%). Ma a crescere a doppia cifra sono le occasioni di consumo marginali, “fuori pasto”: «La differenza tra bar e ristoranti è sempre più sfumata - spiega Figura -. E i ristoranti che hanno colto questa tendenza all’ibridazione, allargando la propria offerta a formule come l’aperitivo o il brunch oppure ampliando gli orari di attività oltre le fasce orarie canoniche, hanno saputo ottenere risultati interessanti».
Un altro fenomeno significativo è l’evoluzione della tipologia di clienti: «Analizzando le visite per fasce d’età - commenta Figura - emerge come i ristoranti abbiano perso terreno su due target rilevanti: i millennial da un lato e gli over 50 dall’altro. I primi sono i clienti di domani, i secondi tra quelli con una capacità di spesa più elevata». I motivi? «I giovani, che rappresentano oltre un terzo del parco clienti del fuori casa - rivela Figura - sono attratti soprattutto dalle catene, che vivono come luoghi più contemporanei. Nel calo degli over 50 rientra la disaffezione delle famiglie, che cercano - e spesso non trovano - luoghi dove vivere un’esperienza condivisa e non più ristoranti con spazi bimbi dove parcheggiare i figli».