Più trippa per tutti

Ingredienti poveri ma di qualità. Un menu che punta sul quinto quarto e ingredienti dimenticati. La scommessa (vinta) di Trippa, a Milano

Lunga vita all’osteria. Quella vera, però, come Trippa. Perché anche se è nata a Milano solo due anni fa, lo spirito è quello delle storiche osterie lombarde. Un locale senza fronzoli, dove il menu è quello della più schietta tradizione, gli ingredienti sono tutti (o quasi: un’eccezione è il tartufo) quelli “poveri”, la cucina è refrattaria allo spreco e il dialogo fra gli osti e i clienti è parte integrante dell’accoglienza. Uno stile che fa sì che gli avventori si sentano “a casa”: ed è forse questo il miglior complimento per Diego Rossi (chef) e il suo socio Pietro Caroli (in sala).
Da subito il locale ha funzionato a pieno regime, tanto da essere selezionato dal panel di esperti di Bargiornale e Ristoranti e premiato lo scorso dicembre, grazie al voto on line dei lettori di Ristoranti e di Bargiornale, che lo hanno scelto come Ristorante rivelazione 2016.
L’idea di dedicarsi alla trippa (e a tutto il quinto quarto, ma non solo, naturalmente) al punto di battezzare il proprio locale col nome di un piatto che trova scarsa o nessuna cittadinanza nelle cucine gourmet è una scelta coraggiosa. Ma evidentemente, a dispetto di salsine, arie, spume, dressing e quant’altro, della solida concretezza di un piatto di trippa i milanesi sentivano la mancanza.
«Di trippa ce n’era bisogno, così come della riscoperta della “cucina della nonna” - conferma Diego Rossi. Molti ci dicono che non riuscivano più a trovare posti dove trovare questi piatti della tradizione. Noi abbiamo raccolto questa richiesta. La nostra idea è semplice: una trattoria dove il fondamentale pilastro è la stagionalità; un posto dove poter mangiare ingredienti particolari o dimenticati, e alla portata di tutti da un punto di vista economico. Un locale confortevole, alla mano come le trattorie di una volta, dove la gente si sente a casa. Per arrivare a questo risultato bisogna essere in primo luogo attenti alla fascia di prezzo in cui ti poni. Un elemento che, a mio avviso, contribuisce a determinare se sei un locale genuinamente nella scia delle trattorie popolari o se di queste hai solo l’aspetto, come oggi capita. Non abbiamo fatto studi di mercato, ci siamo basati su quello che siamo capaci di fare, su passione e sincerità nel nostro modo di proporci». A quanto pare, vista la costante necessità della prenotazione, l’impostazione del Trippa è vincente. Il tutto puntando solo sull’apertura serale. Perché, sottolinea Diego: «Non potrei fare la cucina che voglio tenendo aperto anche a pranzo, sia per un limite di tempo, sia il tipo di menu che va assaporato con tranquillità». E già in questo modo i ritmi sono serrati tanto che è prassi quasi quotidiana la doppia rotazione dei tavoli.
Il menu è la cartina di tornasole del Trippa. «Da noi - spiega Diego - la scelta va verso ingredienti “poveri” ma di alta qualità, spesso poco noti o dimenticati come le olive nolche, l’ortica, il broccolo fiolaro, il cocomerazzo o le rosole di papavero. E naturalmente tutte le frattaglie, prima fra tutte la trippa, ne prepariamo circa 20 kg ogni settimana, solo di bovini italiani di razza piemontese».
In carta non possono mai mancare il vitello tonnato (la cui salsa è preparata al sifone), la trippa fritta, il midollo arrosto, la trippa in umido. Gli altri piatti in carta cambiano ogni 15 giorni, e c’è pure un “fuori menu” che prevede ogni giorno 3 piatti diversi.
Ma Trippa non significa solo carni e frattaglie. «Prepariamo anche pesce, soprattutto il baccalà - racconta lo chef - che rappresenta per eccellenza il pesce povero della tradizione italiana. E si tratta di pesce pescato all’amo di grande o media pezzatura, di cui utilizziamo tutto, dalla vescica natatoria al lattume al fegato alla buzzonaglia...». Perché, a saperci fare in cucina, non si dovrebbe buttare via nulla.

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