I robot in cucina? Automatizzano le operazioni di routine

Lo Spyce di Boston
Lo Spyce di Boston, ristorante con cucina robotizzata
Dai robot collaborativi agli accessori intelligenti: come migliorare l’efficienza del lavoro quotidiano e risparmiare tempo in cucina

Lo Spyce di Boston (nella foto) è, probabilmente, il primo vero ristorante robotizzato del mondo. È stato aperto nel maggio 2018 e ne hanno parlato molti quotidiani e tv, che ne hanno colto soprattutto il lato spettacolare. Realizza infatti una cucina fusion avvalendosi di sette postazioni di cottura totalmente automatizzate, con 7 wok in grado di produrre fino a 150 piatti all’ora. Quello che ai più è sfuggito, però, è che Spyce non è un esperimento dimostrativo e scenografico. Nasce dall’idea di quattro studenti del MIT di Boston, una delle più prestigiose università del mondo, e mette in pratica sul serio concetti di automazione derivati dall’industria e dalla ricerca scientifica. Quella dello Spyce è una cucina certificata da enti terzi, che ne attestano il livello di produttività, di igiene e anche di impatto ambientale.
Qual è il concetto messo in pratica da Spyce? Affidare a una macchina la realizzazione delle fasi ripetitive della cottura per lasciare ai cuochi la parte creativa e, cioè, la definizione della ricetta e la parte finale, la presentazione nel piatto. In pratica, automatizzare tutte quelle fasi non visibili e passare determinati lavori alle macchine. Un’idea simile è stata messa in pratica in Francia dalla Ekim, una startup francese che ha raccolto 10 milioni di euro in crowdfunding (in pratica molti investitori che hanno deciso di credere e finanziare il progetto con poche decine di euro ciascuno) per realizzare un laboratorio di cottura della pizza interamente attrezzato con robot collaborativi. I robot cuociono spargono la salsa sulle basi, posizionano gli ingredienti in dosi sempre uguali e nei punti strategici decisi dai pizzaioli ed effettuano la cottura. Le finiture e l’impiattamento, o l’inscatolamento per il delivery, spettano ad addetti in carne e ossa, che controllano anche la qualità del prodotto.

Flippy frigge e fa gli hamburger

Negli Usa, la californiana Miso Robotics ha invece introdotto Flippy, un robot che può svolgere compiti ripetitivi come controllare la frittura delle patatine o cuocere gli hamburger sulla piastra. Secondo l’azienda il costo di noleggio del sistema, che può variare da 15mila ai 50mila dollari secondo le applicazioni, si ripaga ampiamente in termini di un migliore e più produttivo impiego del personale nel punto vendita.
Tutte queste soluzioni operano soprattutto dietro le quinte, lasciando all’uomo la parte creativa. «L’automazione nel ristorante - dice Carlo Meo - ha senso ed è efficace soprattutto là dove il pubblico non la vede, per standardizzare le operazioni e garantire un parametro costante di qualità. Lo è molto meno quando entra a far parte dell’esperienza dell’ospite. Stiamo assistendo al progressivo scomparire di format, comparsi qualche anno fa, che si affidavano a sistemi automatizzati per inoltrare l’ordine o personalizzare il proprio piatto».

Un approccio manageriale

I sistemi automatizzati sono invece assai graditi da quegli chef che hanno un approccio manageriale alla ristorazione e cercano la precisione e la ripetibilità massima nell’esecuzione delle preparazioni, che significa anche controllo preciso dei consumi, possibilità di calcolare con esattezza il food cost e di controllare la qualità, anche a distanza, in più cucine. Un’opzione utile per chi gestisce più ristoranti e introdotta inizialmente nelle cucine professionali dai forni combinati programmabili e poi dagli abbattitori intelligenti.
Ora questo tipo di automazione si sta estendendo anche ad altri accessori, che finiscono per diventare veri e propri robot di cucina: dalle macchine confezionatrici sottovuoto ai bagni termostatici fino ad accessori utilissimi come i dissipatori di rifiuti.
Dice Patrick Benedetti, chef italiano che da una decina d’anni si è trasferito all’estero, prima a Taiwan e di recente in Cina, dove lavora per la catena di hotel Four Seasons: «Penso che l’automazione rappresenti il futuro della cucina per una serie di motivi: il costo della manodopera sta crescendo e noi dobbiamo usufruire il più possibile di strumenti intelligenti per migliorare l’efficienza, evitare errori e anche per renderci la vita più semplice, risparmiando tempo che possiamo impiegare diversamente».

Il tema del personale toccato da Benedetti è forse quello principale. Per quanto si parli poco del problema, l’industria della ristorazione sta soffrendo una forte carenza di addetti qualificati in tutta Europa. Nel Regno Unito si prospetta, entro il 2022, anche per effetto della Brexit, un buco di 11 mila addetti. Ma anche da noi le cose non stanno meglio. In Trentino, nella stagione estiva appena conclusa, il fabbisogno delle imprese del turismo e della ristorazione è cresciuto del 5,5% rispetto al 2018, e avrebbe richiesto l’assunzione di oltre 8.500 lavoratori. Non è stato possibile però reperire quasi la metà delle figure richieste, per la precisione il 46,2%, in particolare cuochi e camerieri, sia proprio per carenza di candidature sia per la mancanza dei requisiti professionali necessari.

I sistemi automatizzati per la cucina si stanno quindi sempre più rivelando un aiuto importante. Non sono tanto la causa di maggiore disoccupazione e della riduzione di posti di lavoro, quanto piuttosto un aiuto fondamentale che consente a molti ristoranti di far fronte a momenti difficili e di restare in attività, sopperendo alla penuria di personale qualificato.

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