Il piatto lo prendo e me lo porto via

Tendenze –

Take away, consegna a domicilio, doggy bag: tre diverse forme di asporto che possono aprire per il ristorante canali aggiuntivi di business. Il trend è in crescita e per attrezzarsi ci vuole soltanto un po’ di abilità

Take away? In Italia è sempre più di moda. Se una volta questa modalità di acquisto era quasi esclusivamente adottata per la pizza, ora le cose stanno cambiando, e molto velocemente. La diffusione di tablet e smartphone rende possibile effettuare richieste e prenotazioni praticamente ovunque ci si trovi. E la diffusione di organizzazioni come JustEat Italy (www.justeat.it), che affilia ristoranti interessati al servizio organizzando la gestione degli ordini rende più facile anche al cliente trovare al volo il tipo di cibo che desidera. Il tutto supportato da app che rendono elementare sia il reperimento del ristorante o del tipo di cucina desiderato che l’inoltro dell’ordinazione.

Il servizio più caro? A Firenze

Proprio JustEat Italy si è distinta, negli ultimi mesi, per una serie di ricerche e studi sul take away in Italia che parlano in modo molto eloquente. Un’indagine condotta a maggio 2012 su circa 5.000 ristoranti nelle principali città italiane ha evidenziato che più del 50% mette a disposizione il servizio di asporto. Solo il 15% lavora invece con la consegna a domicilio. Tra le città, Roma supera Milano per il take away, ma le è dietro per il delivery. Mentre Firenze, come appare invece da una ricerca più recente, dello scorso febbraio, è quella dove si praticano i prezzi più elevati: fino a 17,50 € per un sushi misto contro i 10 € applicati a Bologna per lo stesso piatto. E qui entriamo in un altro argomento di fondamentale importanza: quale tipo di cibo è più ricercato dagli italiani che preferiscono mangiare a casa propria i piatti del loro ristorante preferito? In Italia, come emerge da una terza ricerca di JustEat Italy su nove Paesi europei, a dominare è la pizza, seguita dalla cucina giapponese. Risultati apparentemente scontati. La cucina italiana è invece nelle retrovie, preceduta anche da quella cinese e dalle orientali in generale, e anche dai piatti maghrebini e messicani. Ma in tutti gli altri Paesi d’Europa, il leader incontrastato del take away è proprio il cibo italiano. Un’indicazione di cui dovrebbero fare tesoro tutti quei ristoratori che nella Penisola lavorano con un pubblico di turisti, o si trovano vicino a strutture come residence, campeggi, bed & breakfast frequentati da stranieri.

Il packaging giusto

La difficoltà principale nel dar vita a questo tipo di servizio sta nel reperimento delle confezioni adatte per la consegna e il mantenimento della qualità del cibo così come se fosse appena uscito dalla cucina. Le classiche vaschette in alluminio da gastronomia, magari chiuse con una pellicola trasparente o con carta stagnola, hanno fatto il loro tempo. Perfino i nuovi format di cucina espressa cinese adottano confezioni in cartone capaci di mantenere a lungo il calore e completamente riciclabili. Sul mercato esistono comunque soluzioni di ogni tipo e per ogni genere di locale. Basta rivolgersi ai marchi più specializzati e con più tradizione. Anche perché lo sviluppo di queste confezioni è quasi una missione. Come attesta Fabio Vito, entusiasta imprenditore romano, che nel 2003 partecipò a un concorso per il migliore packaging ecologico di Comieco (il consorzio obbligatorio per il recupero di carta e cartone). Il suo Take Away Box non vinse, ma fu talmente apprezzato per la funzionalità che divenne il nome della sua azienda, tra i principali attori italiani del settore.
Del resto, le stesse confezioni possono prestarsi a svolgere le funzioni di “doggy bag”, lo scatolino in cui confezionare gli avanzi dei clienti. Con le ovvie attenzioni all’igiene (non tutti gli alimenti si prestano a essere riscaldati a casa) una diffusione di questa pratica, tanto comune negli Usa, avrebbe anche un senso ambientale: ogni anno in Italia, secondo l’Osservatorio Waste Watcher, si buttano 12 milioni di tonnellate di cibo, circa il 25% di ciò che è messo in vendita.

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