Prime crepe nel successo travolgente dei siti di acquisti di gruppi: in rete si moltiplicano le proteste dei consumatori insoddisfatti. Eppure possono essere un buon alleato del ristoratore: a patto che venga considerato un investimento e non si discrimini il cliente
Ricorrere ai siti di acquisti di gruppo per proporre cene a prezzi scontati può essere un’opportunità per pubblicizzarsi senza investimenti iniziali, rivolgendosi alla clientela locale in modo mirato.
Vien da chiedersi però se c’è da fidarsi di Groupon & Co., alla luce della maxi protesta dei clienti che sta offuscando la reputazione della capofila dei siti di social shopping, Groupon: oltre all’istituzione di un gruppo di scontenti su Facebook, sono partite molte segnalazioni alle associazioni dei consumatori e persino la minaccia di una class action.
Può essere utile per attirare nuovi clienti
Senza contare che anche contro un altro dei principali siti di acquisti di gruppo, Groupalia, si stanno levando le proteste. Nel mirino degli acquirenti ci sono l’incertezza sui rimborsi, la carenza di assistenza post vendita, ritardi nel consegnare la merce, disservizi legati all’overbooking e l’erogazione di servizi scadenti.
Al di là di come si concluderà la vicenda, la lezione che se ne può trarre è che se è vero che questi siti possono essere uno strumento efficace per farsi conoscere, c’è anche un rovescio della medaglia: le insidie più rischiose da evitare sono la vendita di troppi coupon, e quindi l’incapacità di far fronte adeguatamente alle richieste, e la tentazione di trattare chi ha acquistato un buono - in genere a poco prezzo - come un cliente di serie B.
Sconti fino al 70%
Il segreto del successo del social shopping digitale risiede nel modello su cui si basano i vari siti. Con piccole varianti, è il medesimo per tutti: la vendita di servizi e prodotti, in varie città, a prezzi scontati fino al 70% tramite coupon o buoni.
Gli “affari del giorno” sono validi per un periodo di tempo limitato e vengono quotidianamente resi noti via e-mail agli utenti che si iscrivono.
«La forza di questi siti è offrire un canale di promozione alternativo a quello costituito dai media classici, meno dispendioso e più mirato» spiega Carmelo Cennamo, professore di strategia, imprenditorialità e business planning dell’Università Bocconi di Milano.
L’idea è che far provare il servizio sia la migliore forma di pubblicità, approfittando anche dell’esigenza di risparmio.
«Si dà accesso con un prezzo molto scontato a un servizio che altrimenti l’utente magari non proverebbe - spiega Cennamo -, sfruttando l’effetto social grazie al passaparola. Le campagne vengono realizzate dai siti, che hanno la capacità di arrivare a un numero di potenziali clienti, su base locale, che il singolo ristoratore non è in grado di raggiungere».
Uno degli aspetti che potrebbe rendere la proposta ancora più mirata, inoltre, è la componente mobile, su cui molti puntano, creando applicazioni per gli smartphone (è il caso di Groupon, Groupalia, Glamoo e LetsBonus) con l’obiettivo di portare all’utente le offerte dei locali vicini a dove lui si trova in quel momento.
Fare un investimento
Qualche responsabilità, a fronte delle proteste dei consumatori, ce l’hanno pure gli esercenti: bisogna mettersi in testa che comparire sui siti di social shopping è un modo per farsi conoscere e non per ottenere un profitto immediato.
«Il più delle volte, il prezzo concordato per l’offerta copre solo i costi variabili - continua Cennamo -. Perciò queste operazioni vanno considerate come un investimento sul cliente: il ristoratore comincerà a guadagnarci se riesce a fidelizzarlo, facendolo tornare».
Mettere un annuncio sui siti di social shopping è gratuito, ma il meccanismo prevede che il sito trattenga una percentuale (dal 30 al 50%) sui coupon che l’utente acquista (in genere tramite carte di credito e PayPal).
L’esercente viene reclutato attraverso la rete commerciale ma può richiedere direttamente, in un’area apposita presente in tutti i siti, di essere contattato per diventare partner.
In genere non ci sono preclusioni di sorta: si va dai ristoranti tradizionali alle pizzerie, ai ristoranti etnici. La selezione operata dai siti riguarda sostanzialmente la disponibilità a offrire uno sconto consistente e la qualità della proposta (un punto, quest’ultimo, contestato dai consumatori).
L’offerta va strutturata in modo da essere sicuri di poter affrontare le richieste di chi ha comprato il coupon con un buon livello di servizio.
Fissare da contratto un numero adeguato, o un numero massimo, di coupon in vendita in base alla disponibilità di posti è dunque la regola numero uno, in modo da evitare di trovarsi coinvolti in casi di overselling simili a quelli al centro delle proteste degli acquirenti.
Calibrare l’offerta
«Il rischio principale è mettere in campo una leva superiore rispetto alla propria capacità - avverte Cennamo -: bisogna essere certi di poter gestire le richieste al meglio, il che garantisce una probabilità superiore di fidelizzare il cliente».
Per contro, «un uso massiccio di questo strumento può portare a delle inefficienze perché ci si trova a gestire molte prenotazioni e molti clienti».
In particolare, «i ristoranti di alto livello non possono permettersi di usare questo canale in modo
continuativo: rischiano di perdere credibilità».
Un errore far sentire i “couponisti” dei clienti di serie B
Altra regola d’oro è non far mai sentire chi ha acquistato il coupon un cliente di serie B: non sono pochi gli aneddoti di “couponisti” che raccontano di aver ricevuto porzioni più piccole al ristorante.
Un’offerta ben calibrata può aiutare a ottimizzare i flussi.
«Nel deal il ristoratore può specificare che il coupon è valido solo in certi giorni - spiega Cennamo -; può così coprire i momenti con meno domanda, stabilizzando i flussi».