Con il recente conferimento del marchio Dop all’Ossolano, i formaggi di qualità riconosciuti dalla Comunità Europea hanno raggiunto quota 50. Un invidiabile primato del quale gli italiani intendono godersi, a giudicare dall’assortimento sugli scaffali di gastronomie e supermercati. Se ne sono accorti meno i ristoratori a giudicare dalla presenza frammentaria di questi prodotti d’eccellenza nei loro locali.
Non invoco di certo il ritorno della domanda a fine pasto “formaggio o dessert?”, per noi innaturale e un po’ retrò. Quella possiamo lasciarla ai francesi dai quali l’abbiamo importata a suo tempo. Dagli stessi francesi, invece, dovremmo imparare a valorizzare questo straordinario paniere di delizie colpevolmente trascurato al di qua delle Alpi e troppo lasciato alle osterie assieme ai salumi. Ammetto che qualche buon formaggio comincia a circolare, ma in modo stiracchiato, quasi fosse una concessione, e perciò con tanto da migliorare. Sono pochi ad avere il coraggio di proporre non dico una carta dei formaggi (magari!), ma almeno una scelta tra una dozzina di tipi. Con 50 Dop e almeno altrettante specialità non ancora insignite dal blasone europeo la scelta dovrebbe essere facile. E non si tratterebbe neanche di un investimento complicato o rischioso, tenuto poi conto della conservabilità del prodotto eccezionalmente favorita dal sottovuoto. Altra pecca, la comparsa sulla tavola solamente come piccolo antipasto o alla fine del pasto in perdente competizione con il dessert. Perché non proporli in un tagliere finalmente ben assortito e con accompagnamenti dolci di confetture e mostarde ben studiati? In Francia lo fanno, in Italia molto meno e quasi sempre insieme a qualche salume, come se da soli non ce la facessero. Non vorrei essere sciovinista proprio con chi ha inventato questa parola, ma è sicuro che, quanto a qualità, non abbiamo niente da invidiare a nessuno.