L’impiego esclusivo di prodotti agricoli coltivati o prodotti nelle vicinanze rappresenta una discutibile scelta ecologica. L’inquinamento del trasporto incide in minima parte rispetto a quello della produzione o dell’allevamento. La parola al ricercatore Roberto Defez
Dàgli al chilometro zero! Una delle tendenze che caratterizzano l’enogastronomia internazionale in chiave ecologica, la dolce autarchia che rinverdisce la tradizione di approvvigionarsi di cibi e bevande nel circondario in tempi di mercato globalizzato, dopo aver raccolto tanti consensi anche tra i ristoratori tricolori ora subisce il ritorno dei detrattori. Che, con numeri alla mano, contestano l’ecologicità di tale scelta oppure alzano un fuoco di sbarramento ideologico, contro una scelta considerata radical chic e non sufficiente a semplificare la complessità dei fattori che ruotano attorno al cibo.
Specchio per allodole?
Al di là delle inevitabili storture (in alcuni ristoranti che fanno del Km 0 la loro bandiera compaiono pietanze che per stagionalità e provenienza non possono provenire dall’orto dietro il locale) uno dei temi su cui si appuntano le critiche è proprio l’ecologicità di questa scelta. Roberto Defez, ricercatore al Cnr di Napoli, cerca di sfatare le virtù “green” di questa politica:
«Il Km 0 ci è stato venduto come una formula magica basata sul presupposto che muovendoci meno inquiniamo di meno e quindi facciamo del bene all’ambiente. In realtà quello che incide di più sull’inquinamento sono l’allevamento o la produzione dei prodotti; il trasporto incide minimamente. Inquinano molto di più tante persone che si recano con la propria macchina dal contadino a comprare una cassetta di mele di un tir che consegna un grande quantitativo di mele a un negozio. Approvvigionarsi vicino casa, magari direttamente dal contadino, non è per forza la scelta più sana, migliore o più ecologica. Sarebbe molto meglio una globalizzazione fatta con criterio, dove i prodotti vengono coltivati e gli animali allevati nei luoghi più adatti, rilasciando così la più bassa impronta ambientale possibile».
In rete è meglio
Naturalmente opposta la posizione delle associazioni di categoria degli agricoltori, che appoggiano il localismo delle produzioni, anche per l’approvvigionamento da parte dei ristoratori. Per esempio, tra le iniziative a favore del Km 0 diffuse nel Belpaese, a Padova, Confesercenti, Coldiretti, Appe-Fipe (Confcommercio) e locale Camera di commercio hanno lanciato il portale kmzeropoint.it, nel quale le eccellenze di quest’angolo di Veneto (800 prodotti freschi e di stagione) possono essere acquistati con un click e recapitati attraverso furgoncini a metano, con un ridotto impatto ambientale.
Questa formula, inoltre, garantisce prezzi più bassi della media, vista l’assenza di intermediari di filiera.
Stagionalità, i rischi
In sostanza, non esiste una formula magica che possa risolvere problematiche complesse. Tuttavia Defez traccia una strada che può fornire uno spunto interessante anche ai ristoratori ecoattenti. «Per le piccole produzioni come frutta o verdura - conclude il ricercatore - sarebbe ora di spogliarsi dall’ossessione di mangiare per forza i prodotti di stagione, perché è impossibile che soddisfino tutta la popolazione. Un’alternativa è acquistare produzioni provenienti dai Paesi caldi: molto meglio, per esempio, un pomodoro prodotto in un Paese come la Tunisia rispetto a uno italiano prodotto in serra (molto inquinante), come avviene in Sicilia. E fuori stagione è meglio utilizzare i pomodori in lattina».