Iva al 10% per asporto e consegna a domicilio

Le corrette aliquote da applicare per le attività di asporto e di consegna a domicilio, con l'interpretazione contenuta nella legge di Bilancio 2021

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Le corrette aliquote da applicare per le attività di asporto e di consegna a domicilio, con l'interpretazione contenuta nella legge di Bilancio 2021

Con i forti limiti all’attività di somministrazione, asporto e delivery hanno acquisito un peso rilevante per molti ristoranti (scopri il nostro speciale con 28 case history). Vediamo quali sono le corrette aliquote da applicare, anche alla luce dell’interpretazione a contenuta nell’ultima legge di Bilancio.

Differenza tra somministrazione e cessione di beni

La somministrazione di alimenti da parte di esercizi commerciali, se effettuata dietro pagamento di un corrispettivo, si configura come prestazione di servizi con l’aliquota Iva ridotta al 10%.

Rientrano in tale fattispecie non solo le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nei pubblici esercizi “classici” (appunto, ristoranti, pizzerie, bar, ecc…), ma anche, per esempio, in uffici e scuole o anche per il tramite di distributori automatici.

Al contrario, la preparazione di cibi da asporto senza servizio al tavolo consiste nell’attività di preparazione di cibi pronti per il consumo, configurandosi quindi come sola prestazione di dare e quindi una cessione di beni con l’applicazione delle aliquote previste per i singoli prodotti.

Sulla base delle misure disposte dai vari Dpcm succedutisi nel tempo, quindi, la fattispecie della somministrazione potrebbe anche non aver luogo, considerato che la somministrazione di bevande e alimenti risulta ancora in certi periodi vietata.

I chiarimenti della Corte di giustizia europea

Mercati settimanali, chioschi, stand, aree consumo e servizio di catering: sono questi alcuni dei casi esaminati dalla Corte di giustizia europea per le controversie tedesche (Cause C-497/09, C-501/09 e C-502/09) emerse in merito alla corretta aliquota Iva applicabile.

In particolare, la Corte ha ritenuto corretto inquadrare come cessione di beni tutti i casi in cui la prestazione di servizio non risulti “predominante”: ciò accadrebbe in sostanza in tutti i casi sopra elencati, a eccezione – solo per certi versi – del servizio di catering.

Proprio quest’ultimo può essere assunto per meglio chiarire il rapporto di “prevalenza” tra prestazione di servizio e cessione di beni. Infatti, quest’ultima si verificherebbe laddove il servizio di catering non sia accompagnato dalla fornitura di tavoli, stoviglie e personale di servizio, limitandosi alla sola fornitura dei pasti all’interno di contenitori. Diversamente, l’organizzazione di una serie di beni e servizi che accompagnano le fasi di preparazione e confezionamento del cibo determinerebbe lo svolgimento di prestazioni di fare.

La disciplina nazionale

Per quanto riguarda la disciplina nazionale, si fa presente che l’Agenzia delle Entrate, col principio di diritto n. 9 del 22 febbraio 2019, ha recepito la posizione assunta dalla Corte europea.

Avendo molti ristoratori e bar, vista la non possibilità della somministrazione, iniziato il servizio da asporto il problema dell’aliquota diventa rilevante.

In questi casi, l’aliquota Iva applicabile deve essere individuata a seconda delle componenti che qualificano la preparazione alimentare, individuando la classificazione doganale e l’eventuale corrispondente voce della Tabella A allegata al Dpr 633/1972 (risoluzione 107/1998).

La legge di Bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178, art. 1 comma 40) introduce una norma interpretativa (che, in quanto tale, ha valore anche per il passato) indicando che: «La nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro con­sumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto».

Il numero 80) della tabella A parte III comprende: «80) preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove (v.d. ex 21.07), esclusi gli sciroppi di qualsiasi natura».

La norma ha portato una piccola semplificazione, ma l’equiparazione totale alla somministrazione non è quella che ci si aspettava. Infatti, restano più aliquote in base alle caratteristiche dei singoli prodotti ceduti per asporto o con consegna a domicilio:

  • 4%, focacce genovesi all’olio con olive; formaggi, latticini, pane, ortaggi e frutta non altrimenti cucinati, preparati o elaborati.
  • 10% preparazioni alimentari, piatti pronti e pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro con­sumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto; nelle preparazioni alimentari potrebbero essere contenuti i cappuccini e cioccolate e altre bevande prodotte con il latte che altrimenti dovrebbero essere soggetti all’aliquota ordinaria.
  • 10% prodotti della panetteria fine, della pasticceria e della biscotteria;
  • 10% estratti essenze o essenze di caffè, di tè, di mate e di camomilla;
  • 10% gelati artigianali e crepes.
  • 22% acqua, vino, bibite e birra.

Per quanto riguarda i cocktail, se già preparati e imbottigliati l’aliquota è quindi del 22%.

Se vengono preparati in loco e venduti con asporto o a domicilio, potrebbe essere considerata una “preparazione alimentare” con Iva al 10%. C’è però una certa forzatura in quanto la legge di bilancio parla di «cessioni di piatti pronti e di pasti», quindi applicherei sempre l’aliquota del 22%.

 

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