Turni, mansioni, percorsi predefiniti: nuovi criteri per lavorare in cucina

I consigli pratici di Fabio Tacchella per riorganizzare il lavoro

health, safety and pandemic concept - male chef cook wearing face protective medical mask for protection from virus disease with plate of soup and salad at restaurant kitchen
Fatte salve le disposizioni delle autorita’, come regolarsi nel lavoro quotidiano? ecco i consigli pratici dell’esperto

Proiettati alla riapertura, ristoratori e cuochi devono però affrontare un incisivo cambiamento nel loro stile di lavoro. Si è parlato molto, in questi mesi, delle problematiche di servizio, della capienza e delle nuove modalità di gestire la sala e accogliere i clienti, ma altrettanto cruciale e diverso sarà il lavoro dietro le quinte, a partire dall’arrivo delle materie prime nel locale, alla preparazione delle vivande, alla “convivenza” degli addetti in cucina e a tutte le buone pratiche che dovranno essere adottate nell’immediato futuro.

Affrontiamo questo tema con Fabio Tacchella, chef di lungo corso, insegnante di tecnologia alimentare, consulente di aziende ed esperto di sistemi di cottura innovativi.
«Il punto di partenza sarà quello indicato dalle autorità - afferma l’esperto - che prevede la pulizia e sanificazione degli ambienti e il controllo sanitario del personale, secondo le modalità definite. Contemporaneamente ristoratori e cuochi dovranno pensare alla riorganizzazione del lavoro in cucina, fatto salvo che le tipologie di locale nel nostro Paese sono innumerevoli, differenti l’una dall’altra per metratura, ubicazione, struttura, organizzazione della cucina, dunque ogni situazione andrà analizzata nello specifico. La premessa per lavorare come si deve è impartire a tutti gli addetti che lavorano in cucina - dai cuochi ai lavapiatti, ma anche ai camerieri al pass - precise istruzioni sulle nuove procedure di lavoro, secondo le prassi definite dalle autorità. Dunque il personale va addestrato, sotto la guida del responsabile Haccp, sui migliori iter produttivi da seguire». In ogni step in cucina sarà necessario fare grande attenzione, a partire dalle modalità per ricevere le derrate nel ristorante: un punto critico che va analizzato nelle modalità e nei percorsi che le materie prime devono fare.

Riprogrammare le presenze

Fondamentale poi è riprogrammare la presenza degli addetti in cucina: «Se fino a ieri eravamo abituati a lavorare tutti insieme - prosegue Tacchella - ora, per rispettare le regole di distanziamento in cucina e negli spogliatoi, lo stesso personale può essere suddiviso in due turni, in modo da non sovrapporre gli orari e quindi la presenza nel locale. Ad esempio: se in una cucina di 40 mq possono lavorare solo 3 persone contemporaneamente, si potrà stabilire una rotazione delle presenze e delle mansioni, definendo possibilmente dei percorsi a senso unico, in modo da non accavallarsi. Così un gruppo può lavorare nel primo turno, eseguendo operazioni preliminari come pulizia, taglio delle verdure, preparazione delle carni o del pesce e messa in sottovuoto, occupandosi solo della mise en place; ognuno dovrà avere la propria mansione, restare in postazione e lavorare solo sul proprio tavolo, cedendo il passo al collega per mantenere il distanziamento (in spazi stretti è bene passare schiena a schiena). Dunque l’addetto non dovrà occuparsi della ricetta completa, come sempre evitando in questa fase il contatto fra alimenti crudi e cotti. Terminato l’orario, la prima squadra se ne va e subentra la seconda. Questo staff si occuperà di togliere gli alimenti dal sottovuoto, di cuocere, rigenerare, eseguire le finiture e mandare i cibi in sala. Così che a completare il piatto sia un unico addetto».

Nuove modalità di lavoro

Insomma, modalità di lavoro e processi differenti rispetto al passato quando - soprattutto in ristoranti con brigate molto strutturate come nei locali stellati - la finitura del piatto passava da più mani prima di arrivare in tavola. Questo sistema di rotazione del personale, secondo l’esperto, porterebbe magari a far lavorare meno ore gli addetti, ma senza dover sacrificare posti di lavoro. «Meglio ancora - aggiunge Tacchella - se ci si può organizzare per allungare l’orario di servizio del ristorante, che può aiutare a sopperire al minor numero di coperti in sala». E veniamo al capitolo guanti e mascherine. «In primo luogo i guanti da usare in cucina - dice l’esperto - dovrebbero essere solo quelli blu o azzurri, in modo che sia facile accorgersi se un pezzetto dovesse finire per errore su un alimento. I guanti si indossano quando è necessario: averli sempre addosso, oltre allo spreco e all’inquinamento, non consentirebbe all’operatore di percepire lo sporco sulle mani. Meglio programmare il lavaggio delle mani con il sapone o con soluzione idroalcolica (al 70%) ogni 40-60 minuti, scadenzando l’operazione con un timer. I guanti si usano ad esempio quando si puliscono verdure amare o piccanti, quando si puliscono e maneggiano carni e pesci, ricordando che il guanto va solo nella mano che tocca il cibo e non in quella che tiene il coltello. Si indossano pure nel momento della finitura dei piatti al pass, ma meglio ancora è imparare a utilizzare pinze e cucchiai».

Accorgimenti per il servizio

Quanto al servizio, «Può essere utile il ritorno alla cloche - dice Tacchella - così da proteggere le vivande. Oppure utilizzare accessori come la Carta Fata, ideale per le cotture al cartoccio: è un materiale che sopporta temperature estreme (da -30 °C a 220 °C senza subire alterazioni, ndr) e può stare sotto le lampade a infrarossi che tengono in caldo, col vantaggio che così si sanifica anche l’esterno del cartoccio stesso che può passare direttamente dal forno al piatto, in modo che sia l’avventore stesso ad aprirlo, senza ulteriori manipolazioni in sala».

L'attenzione alle cotture

Ancora. Oggi più che mai è fondamentale conoscere e sfruttare al meglio le tecnologie di cucina. «A quanto sappiamo - dice Tacchella - il virus è sensibile ai trattamenti termici superiori ai 60 °C e dunque le temperature di cottura abbattono i rischi. Oggi è largamente impiegata (a volte abusata) la cottura a bassa temperatura, nata per rendere teneri certi tagli di carne “tenaci”, mentre su altri alimenti trovo abbia meno senso, potendo eseguire cotture espresso. In ogni caso sottolineo che prima di sigillare in sottovuoto per una cottura a bassa temperatura, l’alimento va sanificato esternamente, quindi ad esempio un taglio di carne può essere rosolato in padella, passato in forno a 200 °C, immerso in friggitrice pochi minuti, in forno a vapore o nell’acqua bollente, in modo che esternamente superi i 100-120 °C; poi può essere messo in sottovuoto per passare alla cbt che si svolge a temperature molto più basse. Perché esistono i batteri aerobici che togliendo l’ossigeno non possono proliferare, ma ci sono anche quelli anaerobici, come il botulino, che vivono anche in mancanza di ossigeno, così il sottovuoto di per sé non è una garanzia sufficiente».

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