All’Acciuga la cucina umbra cambia rotta e vola alto

Materie prime locali e ben identificabili, Tecniche moderne in cucina. Così Marco Lagrimino de l’Acciuga di Perugia va oltre la tradizione. E conquista la stella Michelin

La cucina umbra non è solo torte al testo. A dirlo, con l’apertura del ristorante gourmet L’Acciuga di Perugia, sono proprio “i magnati della torta al testo”, poco più che quarantenni: i due fratelli Luca e Giovanni Caputo con il loro socio Simone Farinelli, titolari del gruppo Testone, una dozzina di locali in Italia (da 250 dipendenti in epoca pre-Covid) che hanno fatto della torta al testo e della tipica cucina umbra il proprio cavallo di battaglia.

Una location rivista e corretta

«Con L’Acciuga l’idea è stata di fare qualcosa di diverso rispetto alla tipica ristorazione umbra» spiega Luca Caputo, che in questo nuovo progetto si definisce “oste” e ricorda la complementarietà negli affari con Simone, socio da una vita, conosciuto da ragazzo lavorando insieme come barman e dj in una piccola discoteca.

    «Il locale è aperto dal 2018, ma è stato solo nel 2020 con l’arrivo dello chef Marco Lagrimino che è partita la nostra scommessa. Siamo in una zona periferica: una location penalizzante, ma in poco tempo abbiamo raccolto ottime segnalazioni nelle più importanti guide e riviste del settore.

L’idea in futuro potrebbe essere quella di una nuova ubicazione, magari in un bel casolare con orto annesso, ma ora ci preme crescere, come clientela e riconoscimenti. Siamo partiti come ristorazione tradizionale e oggi proponiamo invece un menu gourmet che si articola su piatti di pesce, di carne e vegetali. Facendo molta ricerca e rifornendoci, ove possibile, da piccoli produttori locali. È stato un buon cambio di marcia».

Gli ambienti che non ti aspetti

L’ubicazione del locale è davvero la sua peggior pecca: senza insegna, in curva, in una zona periferica a percorrenza veloce. Ma all’interno ciò che è fuori là resta e tutto è predisposto per godere di una gradevole esperienza, con veduta dalle poltroncine vintage sulla cucina a vista. Il menu è minimalista: una quindicina di pietanze tra uovo e cavolfiore, anatra e polpo, paccheri e risotto; o ancora le pere con Gelato al kefir, tè nero e mou all’anice, uno dei dessert curati dalla pastry chef Sara Giovagnotti (già in stellati come Confusion a Porto Cervo con lo chef Italo Bassi e al Restaurant Alexander con lo chef Michel Kyser a Garon in Francia).

Come brevi haiku, le poesie giapponesi fatte solo di tre versi, ogni portata è descritta con due righe: ad esempio Cavolfiore, caramello salato, castelmagno, mandorle oppure Bottoni, ricotta, erbe amare, mandarino, timo cedrino o Polpo, bbq,  fichi, erbe, fichi mostardati, pinoli. Pur senza chiedere la ragione, parlando con lo chef è ancor più chiaro capirne il motivo: fare un focus sulla materia prima.

Ingredienti riconoscibili

«Nei miei piatti, punto all’estrema leggibilità degli ingredienti: mi piace utilizzarne il meno possibile e che siano locali» racconta Marco Lagrimino, viterbese classe 1985, in cucina affiancato dalla sous chef Valentina Berto, cresciuto grazie ad alcune esperienze internazionali e da una manciata d’anni rientrato in Italia, dove ha tentato anche la via del locale in proprio, con la moglie e maître Nadia Moller, prima di stabilirsi a Perugia nell’aprile 2020.

«Quando ho iniziato qui eravamo in due in cucina, per cui ho sempre utilizzato tecniche molto rapide e pratiche da gestire; ora che siamo in cinque, ho introdotto anche lavorazioni come il sottovuoto e le estrazioni, ma sempre avendo a cuore di lasciare intatto e identificabile ogni ingrediente. Personalmente adoro l’amaro e mi piace molto ritrovare il gusto del selvatico, dell’appena colto dai campi, che ad esempio c’è in tante erbe di cui ci riforniscono le due ragazze dell’orto sinergico La Clarice.

Ogni mattina vado personalmente a rifornirmi delle verdure al mercato degli agricoltori di Coldiretti: frutta e verdura vengono dal Trasimeno, anche se ovviamente gli agrumi ci arrivano dalla Calabria. Il pesce lo prendiamo dal Tirreno, tramite la Cooperativa dei pescatori di Terracina; quello dall’Adriatico ci arriva tramite la pescheria Costa Azzurra di Perugia. Per le carni, dal manzo al maiale selezionato, scegliamo gli allevamenti sostenibili di Etrusco Carni».

I menu

L’Acciuga dichiara in menu di ispirare il proprio nome a quel pesce povero ma ricco di qualità, che rispecchia la filosofia del posto: “Attenzione per la materia prima, che si declina secondo il ritmo delle stagioni, con quel pizzico di originalità”. Per assaggiare quante più portate, sono previsti tre percorsi degustazione: Vegetals, con 4 portate vegetariane a 40 euro; Conoscersi con 5 portate (di pesce) a 50 euro; e infine Affidarsi, appunto per lasciarsi andare all’estro dello chef, con 7 portate a 60 euro.

E la carta dei vini

Quanto alla carta dei vini, si presenta con una ventina di pagine tra bevande, vini al calice, bollicine e Champagne, vini bianchi rossi e rosati (dal mondo e dall’Italia), vini dolci e liquorosi, liquori, amari e distillati; una piccola carta cocktail verrà presto curata da Nadia Moller. Con grande attenzione a tutte le tasche, e non solo alla qualità della proposta.

Il padrone di casa, Luca Caputo, assicura: «Tante etichette sono fuori carta. Abbiamo circa 400 referenze, ma una metà non sono in lista, perché personalmente sono appassionato di vini naturali e faccio tantissima ricerca per scovare piccole cantine, che poi però sono costretto a far entrare e uscire con una grandissima rotazione: fanno pochissime bottiglie. Come per il cibo, la nostra offerta vuole essere classica e insieme estrosa anche per il vino: in Umbria non si bevono solo Grechetto, Montefalco e Sagrantino».

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