Così l’extravergine fa la differenza in cucina

Sempre piu’ spesso L’olio dismette i panni di semplice condimento per diventare punto focale della ricetta. Cinque chef ci raccontano quali scegliere e come procedere nelle creazioni

L’olio extravergine d’oliva (evo) è un pilastro della dieta mediterranea e uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura italiana. Il nostro Paese vanta il maggior numero di oli extravergine a denominazione d’origine protetta in Europa e negli ultimi decenni molte aziende si sono concentrate su una produzione di altissima qualità che valorizza le migliori caratteristiche delle oltre 500 varietà nostrane. L’evo è anche uno degli elementi su cui la ristorazione può puntare per qualificare la propria offerta. Tanti chef lo hanno compreso e oggi trattano questo prodotto non più come un semplice grasso da cottura o condimento, ma come un vero ingrediente capace di reggere un ruolo da protagonista nel piatto.

Roberto Rossi

Tra chi, da tempi non sospetti, ha messo l’evo al centro della propria idea di cucina c’è Roberto Rossi, chef patron de Il Silene di Seggiano (Gr). «Ho cominciato a capire l’importanza dell’olio nel 2003, cioè quando ho iniziato a cucinare in un certo modo» in seguito a un incontro con il critico engastronomico Luigi Veronelli. «Oggi l’olio ha un ruolo da attore nella mia cucina», spiega, sia nelle ricette classiche toscane sia in quelle più di ricerca.

L’evo è protagonista dall’inizio alla fine del pasto, quando in tavola arriva il predessert della casa, un cioccolatino a forma d’oliva (nella foto in alto), farcito con un olio ricco di polifenoli con profumi di basilico, pomodoro ed erba fresca che esplodono in bocca quando il cioccolato si scioglie. Di norma, racconta, Rossi usa oli denocciolati dell’annata corrente per condire a crudo, mentre per cucinare preferisce oli dell’annata precedente. Rossi produce anche un olio monocultivar Olivastra di Seggiano (da olive denocciolate) che imbottiglia in formati da 100 ml e 250 ml, «perché una volta stappata - spiega - una bottiglia da un litro, magari tenuta aperta accanto ai fornelli, si ossida, assorbe odori e non dà più le stesse emozioni». Oltre ai propri, Rossi usa anche oli di altra produzione, con una preferenza di oli monocultivar di Tonda Iblea siciliani.

Emanuele Natalizio

«Uso l’evo sia in cottura, sia soprattutto come ingrediente nel piatto, non come condimento», afferma Emanuele Natalizio, chef del ristorante Il Patriarca di Bitonto (Ba). Anzi, spesso lo chef parte proprio dall’olio e dalle sue caratteristiche per creare una ricetta. Di norma, l’abbinamento agli altri ingredienti è per concordanza: «La funzione dell’olio - dice - è quella di esaltare i sapori degli altri ingredienti».

In cucina, Natalizio usa tre oli pugliesi, a base rispettivamente di Ogliarola, Peranzana e, soprattutto, Coratina perché «facciamo una cucina mediterranea dai sapori forti- dice». Accanto ai tre oli della sua regione, ogni due mesi Natalizio propone sette oli di altre regioni in abbinamento ai piatti del menu degustazione che (in tempi normali) cambia appunto con cadenza regolare. Inoltre, nel suo ristorante c’è una carta degli oli con 72 etichette (nel 2020, però, a causa della pandemia non l’ha proposta) utilizzati per creare dei veri percorsi di degustazione da sottoporre al cliente.

Andrea Perini

«Nella mia cucina uso l’olio come vero e fondamentale ingrediente dall’antipasto al dessert. A seconda dei singoli profili sensoriali ne sfrutto le caratteristiche adattandole alle diverse portate», afferma Andrea Perini del ristorante Al 588 di Bagno a Ripoli (Fi). Nell’arco dell’anno ne usa 100-120 diversi da tutte le regioni italiane, tra cui quelli prodotti direttamente dal ristorante.

«La mia è una cucina molto leggera, in cui l’olio è usato per lo più a crudo - continua - senza soffritti o stufati» Un esempio di come l’olio sia protagonista nei suoi piatti sono le tasche, tortellini ripieni di ricotta di pecora mantecati con olio toscano monovarietale ed erbe di campo, scalogni marinati, spuma di zucca e brodo di zucca e zafferano; il brodo viene fatto passare prima del servizio alla moka con scorze di limone, cedrina, finocchietto e nepitella. Il plus donato dall’extravergine a questo piatto è, secondo Perini,  l’intenso fruttato erbaceo dell’olio, che sale al naso con il calore del brodo armonizzandosi con le erbe. Il gusto amaro che ricorda la foglia di carciofo contrasta la dolcezza della ricotta. Il piccante solletica le papille. 

Anche tutta la pasticceria, precisa Perini, è a base di burro d’olio: l’olio viene emulsionato con acqua e burro di cacao per dar forma a un panetto che sostituisce il burro tradizionale.

«Grazie a questo burro vegetale - rivela - le frolle non seccano, cosa che avverrebbe se usassimo solo olio». Il dessert Verde fragola è composto da sorbetto e crumble di fragole, cremoso al cioccolato bianco e limone con crema di piselli alla vaniglia. Qui, l’olio usato (mocultivar Raggiola) ha un’intensa espressione erbacea che rinfresca la crema di piselli, mentre le note amare e quelle speziate di pepe contrastano il calore del cioccolato bianco.

Filippo Artioli

«Considero l’olio uno dei principi della cucina», afferma Filippo Artioli, chef de La Trattoria di Oscar di Bevagna (Pg). Al punto che «quel che mi ha spinto tanti anni fa a venire in Umbria è proprio la produzione locale di oli extravergini». Anche nella sua cucina, l’evo è protagonista e non mero condimento: «È un ingrediente che chiude il cerchio del palato. Nella creazione di un piatto si cercano diversi contrasti, per esempio caldo/freddo, amaro/dolce, ecc. In chiusura di questi elementi per me c’è l’olio».

Uno dei suoi piatti più noti è l’antipasto 3/10, in cui usa tre diversi oli del produttore Graziano Decimi seguendo lo stesso concetto di qualsiasi degustazione a scalare: un evo sulla bavarese all’olio con acciughe, un altro sulla gelatina di baccalà e un altro ancora per il gelato all’olio.

Tra i piatti che ci sono sempre in menu Artioli cita il Budino di latte, polline di finocchio selvatico e miele condito con un giro d’olio umbro. Lo chef non usa l’olio solo in versione liquida, ma anche sotto altre forme, per esempio in polvere. In cottura, invece, non lo usa se non è strettamente necessario: «Se abbiamo una carne strepitosa, con una parte grassa, non c’è bisogno di altro grasso per cuocere, ma usiamo l’olio solo alla fine per dare aroma», racconta.

Fabio Ferrara

Fabio Ferrara, chef patron dell’Osteria del Tarassaco di Rivisondoli (Aq), è un altro appassiato cultore e promotore dell’Evo in cucina. «Non è solo un grasso - dice -, è come se fosse un treno su cui salgono gli ingredienti: l’olio deve portarli a destinazione il più possibile integri a sani, così come il treno deve fare con i passeggeri». Per ogni ingrediente occorre scegliere l’olio giusto ovvero quello che salvaguarda l’aspetto organolettico delle materie prime in cottura: «l’olio è un involucro che protegge». Per Ferrara, la cultura dell’olio è fondamentale e la approfondisce di continuo attraverso corsi e degustazioni. Non solo. «I ragazzi che vengono a lavorare da me - dice Ferrara - hanno l’obbligo di studiare e seguire corsi sull’olio. Oggi un cuoco non può fare questo mestiere se non conosce le interazioni tra olio e ingredienti. Io non uso gli oli per concordanza: a seconda del periodo e del tipo di pomodoro usato, su uno spaghetto al pomodoro metto un olio che ha profumi di mandorla oppure carciofo, che esaltano i profumi primari del pomodoro. L’olio è uno starter, accende quel che sta sotto».

Per esempio, se sull’entrée a base di stracciatella di vacca a latte crudo con salmone e le sue uova Ferrara usa un olio con sentori di pomodoro o uno aromatizzato al caffè, in bocca si ha “un’esplosione del salmone”. Usando un olio ai profumi di carciofo è invece la burrosità della stracciatella a essere enfatizzata. Nel suo ristorante gli oli in uso sono una settantina nell’arco dell’anno, utilizzati a seconda dell’evoluzione dei polifenoli.

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