Il talento è la prima cosa e lui ce l’ha. Però, parlandoci, viene il dubbio che Giuseppe Costa debba gran parte del successo soprattutto al carattere, alla sfoglia di cipolla più superficiale della sua personalità per rimanere in ambito culinario. Esuberante, comunicativo, affabile e chiacchierone, rende impossibile dirigere la conversazione, meglio lasciarlo dire e lasciare spazio alla sua folla di ricordi alimentati da un memoria di ferro. E così racconta, racconta… a ruota libera e quasi senza pudore.
Scendendo giù alla seconda sfoglia, dove si passa dal “come” al “cosa”, si scopre che sotto quella personalità scoppiettante regna l’assoluto rigore. “Io so pensare. So aspettare. So digiunare” dice Siddharta per dare le sue referenze quando chiede lavoro al mercante Kamaswami. Ed è proprio questo il mantra sul quale Costa ha costruito il suo profilo professionale, un imperativo che l’ha portato a deviare più volte la traccia di un futuro benignamente deciso dal destino. Come dire che i colpi di fortuna non gli sono mancati, ma lui li ha sfruttati bene.
Ha appena preso il diploma di scuola alberghiera di Trapani quando un vicino di casa, funzionario della catena Jolly Hotel, gli propone un’esperienza da commis a Milano. Deve lavorare e lui si avvia di buon grado all’esilio in quel “Continente” così importante per un giovane impaziente di spiccare il volo. "Cu nesci arrinesci" (chi esce riesce) si dice da queste parti, e anche Giuseppe è vittima di quella claustrofobia che affligge tanti suoi giovani conterranei: i siciliani sono isolani veri, e si sentono sempre un po’ separati, lontani dai luoghi dove accadono le cose che contano.
Un lungo apprendistato
Dopo solo due mesi, dal Jolly di Milano passa a quello di Bruxelles e qui ha la fortuna di scoprire l’alta cucina, visto che dopo il suo arrivo l’albergo organizza le “Settimane europee delle città e delle regioni” con l’affluenza di prodotti italiani di alta qualità tutti pronti a farsi scoprire. E insieme a questi giungono anche i grandi nomi della cucina italiana come Alfonso Iaccarino, Annie Felde, Matteo Rizzo. È il paese delle meraviglie per un neodiplomato ad alta motivazione, e lui osserva avidamente quei mostri sacri.
Giuseppe sa pensare, come afferma Siddharta, e conclude che è arrivato il momento di digiunare e di attendere. Così lascia la sicurezza del posto fisso, peccato mortale per il rampollo di una famiglia sicula di operai, si auto-retrocede da chef de partie ad apprendista e parte per una lunga serie di stagioni accanto ai suoi futuri maestri: da Paolo Barrale ad Alfredo Chiocchetti, Herbert Hintner a Carlo Cracco dal quale impara, oltre la tecnica, l’importanza assoluta dell’organizzazione.
Il ritorno in Sicilia
Dopo tre anni di intenso lavoro con la busta paga della gloriosa famiglia Stoppani, Giuseppe decide che è ora di tornare in Sicilia dove rileva Il Bavaglino, si chiamava già così, sul mare di Terrasini, il borgo peschereccio accanto al quale sorge l’aeroporto di Palermo. Ristruttura il vecchio locale quasi con le sue mani e ne rivoluziona la cucina. Così bene che nel 2015 Il Bavaglino conquista la stella Michelin. In un ambiente piccolo, con un arredo minimal e total white, finalmente Costa può proporre i risultati della sua gavetta: una cucina siciliana in bilico funambolico tra passato e futuro, ricchezza e povertà, mare e terra, rispetto per l’identità e attrazione per materie prime lontane. Il risultato è un menu che unisce la rivisitazione dello sfincione palermitano (trasformato in un amuse bouche al cucchiaio) alla citazione alpina di un fumetto di funghi porcini a bagnare i ravioli. Allo stesso modo, le ricciole del mare di Terrasini e la vacca autoctona cinisara vengono fatte convivere con il piccione e l’anatra di cultura franco-belga.
E arriviamo al nucleo della cipolla, dove sono custodite le radici indelebili dalle quali attinge identità e sicurezza. È qui che Giuseppe deve avere frugato per concepire l’idea di Dispensa, il neo-avviato ristorante nel cuore di Palermo dove si degustano specialità che ormai si preparano sono nelle case dell’isola: cannelloni siciliani ripieni di stracotto, i bruciuluna (involtini di vitello al sugo ripieni di ogni ben di dio), polpette, sarde a beccafico e altri piatti della quotidianità siciliana. Questa volta nessuna rivisitazione, perché se è vero che la cucina deve evolversi è altrettanto vero che i piatti della memoria sono un patrimonio da custodire e riproporre per come li si è appresi.
E visto che di dispensa si tratta, vi sono custoditi e venduti prodotti siciliani a marchio proprio: conserve, oli, salumi, formaggi, salse e preparazioni tipiche eseguite con le ricette antiche e quindi anche queste senza alcuna innovazione. Ma per quella c’è il Bavaglino di Terrasini.