Il Santa Elisabetta e le sue due stelle, guadagnate in solo due anni

Uno chef che se la gioca fra radici campane e know how internazionale. Un servizio attento, una bella cantina. Questi i punti forti che hanno garantito al Santa Elisabetta un’ascesa rapidissima

Dedizione, professionalità, impegno, passione ma soprattutto idee chiare; più che chiare. Una ricetta che in poco tempo ha permesso al ristorante Santa Elisabetta, che dimora nell’affascinante Torre della Pagliazza di origine bizantina, all’interno dell’Hotel Brunelleschi di Firenze, di conquistare due stelle Michelin e di essere riconosciuto dalla critica italiana e da quella straniera come una tra le mete gourmet più interessanti attualmente presenti in Italia.

La seconda stella
L’Agnello arrosto con caprino del Mugello, levistico e cipollotto caramellato del Santa Elisabetta

L’arrivo nel 2020 della seconda stella purtroppo è coinciso con la chiusura causata dall’emergenza Covid, ma ciò non ha fermato lo staff del Santa Elisabetta che in questo periodo, in attesa di ripartire a giugno, ogni giorno lavora per evolversi e perfezionarsi, studia nuovi piatti, seleziona nuove ceramiche per la mise en place, si dedica alla creazione di una carta dei vini sempre più particolare e di valore e progetta un servizio di sala ancora più attento e coinvolgente.

«Fin da subito, ovvero dal mio arrivo nel 2017, facendo squadra e restando uniti per un unico obiettivo, ci siamo impegnati al massimo per dare vita ad un’offerta ristorativa di alto livello dove sala e cucina camminano l’una affianco dell’altra». Ci racconta Rocco De Santis, Executive chef dell’Hotel Brunelleschi nel centro storico della città.

«La prima stella, arrivata nel 2019, è stata per noi non soltanto un’immensa gioia, ma un input per spingere ancora più forte sull’acceleratore e crescere in qualità».

L'impronta tra i fornelli
Seppia & Seppia (un velo di seppia, con cuore di carciofo, limone e aglio nero).

La cucina di Rocco de Santis, di origini campane, si può disegnare attraverso tre parole che sono l’hashtag con le quali firma sui social le sue creazioni: tradizione, moderna e innovazione (#tradizionemodernainnovazione), che riassumono la sua filosofia ai fornelli. Secondo la quale la tradizione, soprattutto campana, che scorre con più veemenza nelle sue vene, si mischia con quella toscana o con quella dei luoghi che ha visitato o ha vissuto, arricchendosi di modernità e di innovazione.

È così che nelle sue preparazioni l’anima partenopea fa spesso capolino, come in uno dei suoi piatti cult, il Bottone di pasta a base di farina, latte e acqua, ripieno di provola affumicata campana, condito con inzimino di seppie e bietole.

La sera, oltre che dalla carta - dove prima del lockdown si trovavano antipasti tra i 40 e i 44 euro, primi sui 45-49 euro e secondi sui 54-59 euro (con la nuova apertura i prezzi dovrebbero aumentare di un 20% circa) - si può scegliere fra 3 menu degustazione: da 5 portate, Tracce di Innovazione, da 7, In-Contaminazioni e da 9, Chef Experience, ognuno con un wine paring costruito su misura da Alessandro Fè, restaurant menager.

Il menu del pranzo

A pranzo, oltre che avere la medesima scelta della sera, si hanno a disposizione altri due menu pensati per una clientela business con meno tempo a disposizione: uno è Percorsi (3 portate) dove si incontrano gli evergreen dello chef; l’altro è Carte Blanche, a mano libera dello chef (sempre a 3 portate), dove si possono trovare anche piatti non presenti in carta.

Ciò che ha permesso di ottenere riconoscimenti importanti non è soltanto la cucina, ma anche la cura del cliente, sia per quanto riguarda il servizio in sala, coinvolgente e mai invadente, sia per ciò che riguarda le attenzioni rivolte al cliente, come il benvenuto. Dalla cucina arrivano 5 finger food che variano tutti i giorni, come ci spiega De Santis. «Ogni mattina guardiamo in cella e in base ai prodotti che abbiamo a disposizione creiamo questi piccoli e golosi bocconi. Per noi è anche un modo per divertirci e stimolare la fantasia; per il cliente una maniera intrigante per dare inizio alle danze».

In sala
Alessandro Fe

Il servizio di sala, con a capo il giovane Alessandro Fè - che ha alle spalle importanti esperienze nell’hotellerie di lusso ed è grande conoscitore di vini - evidenzia non soltanto la professionalità, ma anche la voglia di instaurare un rapporto diverso con gli ospiti. Alcuni dei piatti presenti in carta, ad esempio, sono completati al tavolo, creando maggiore sinergia con lo staff di sala e donando un tocco in più anche a livello scenografico.

Un esempio di “doppio servizio” è il piccione, che viene cotto in cucina, portato a tavola su di un barbecue giapponese sul quale termina la cottura, disossato ed infine servito.

La cantina

La carta dei vini, che cresce di anno in anno, si arricchisce sempre più di realtà meno conosciute, che denotano una ricerca certosina e grande personalità. La cantina, che offre un bel quadro su tutta l’Italia, con un focus particolare sulla Toscana, si affaccia anche sul resto del mondo, in primis sulla Francia, da cui arrivano oltre 40 Champagne (ma non solo), e poi Germania e Slovenia.

«Abbiamo iniziato con poche referenze, circa 120 e in poco tempo siamo passati a 400, con la volontà di arrivare a 900 e riuscire a offrire una selezione che vorremmo fosse unica e dai ricarichi non esosi - spiega Alessandro Fè -. Per noi è fondamentale inoltre riuscire a proporre un abbinamento perfetto per ogni piatto ed è per questo che puntiamo sul wine paring, apprezzato e sempre più richiesto dalla nostra clientela».

 

Approfondimenti

Miscelazione in diretta

Lorenzo Paoli

Al Santa Elisabetta la mixology si tinge di alta qualità e diventa una maniera diversa per cominciare l’esperienza gastronomica. Accanto a una selezioni di vini al calice si trova infatti una piccola lista di cocktail che vengono miscelati a tavola dinanzi al cliente e serviti con ghiaccio in grandi pezzature. Particolarità di questi drink è la materia prima utilizzata, che proviene dall’opificio Nunquam in provincia di Prato, dove si producono l’antico Vermouth bianco, gin, bitter e altri liquori con botaniche locali accuratamente selezionate che conferiscono profumi floreali, speziati, note officinali e sapori decisi e tendenti al secco, adatti per un aperitivo di eccellenza.

La semplicità dell’Osteria

L’Osteria la Pagliazza è l’altro ristorante dell’Hotel Brunelleschi. Qui si possono gustare a prezzi più contenuti (4 portate di carne a 54 euro e di pesce a 59 euro) piatti gourmet di più semplice interpretazione, che fanno però leva su di una materia prima di eccellenza. I fornitori utilizzati per il Santa Elisabetta e per l’Osteria Pagliazza sono infatti i medesimi. Ciò che cambia è la scelta dei pezzi più o meno nobili e le preparazioni che sono più  immediate. Il servizio in sala rispecchia l’attenzione e la cura del Santa Elisabetta, al fine di dare continuità ed evidenziare estrema coerenza.

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