Pubblicato il Rapporto Fipe 2020. Dopo l’annus horribilis, c’è fiducia nella ripresa

rapporto fipe
I dati di un anno difficilissimo, i segni e i modi della ripartenza

Mai, come quest’anno, il rapporto Fipe sullo stato dei pubblici esercizi in Italia per l’anno 2020, desta l’interessa del settore ristorazione.

Eccezionalmente, ma doverosamente, i dati raccolti dal documento sono stati allungati di tre mesi, fino al 31 marzo 2021. Questo non solo per meglio analizzare analizzare l’impatto di un anno così singolare, ma anche per cogliere i primi segnali di resilienza delle imprese. (Leggi qui l'articolo "Saranno i giovani a trainare la ripresa post Covid")

Le parti del rapporto

Il rapporto Fipe analizza le principali variabili macro di un settore complesso quale è quello della ristorazione senza trascurare, tuttavia, anche alcuni fenomeni micro come, ad esempio, quello relativo alla dinamica dei prezzi di alcuni prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa. Domanda e offerta sono gli spazi che formano il campo dell’indagine con informazioni generalmente tra le più aggiornate ma anche con il ricorso a serie storiche per avere contezza dell’evoluzione dei fenomeni.
(Leggi qui l'articolo "Lino Enrico Stoppani confermato alla guida di Fipe").

La prima parte del rapporto Fipe è dedicata all’analisi del contesto macroeconomico soprattutto per ciò che riguarda la dinamica del valore aggiunto, dell’occupazione e dei consumi.
La seconda parte è dedicata all’osservazione di struttura e dinamica imprenditoriale utilizzando gli archivi delle Camere di Commercio. Stock delle imprese, tipologia, natalità e mortalità sono i principali fenomeni indagati.
La terza parte è concentrata sulle performance economiche del settore misurando valore aggiunto, occupazione e produttività. L’illustrazione delle dinamiche strutturali di medio-lungo termine si accompagna alla presentazione di valori aggiornati e al monitoraggio della congiuntura per mezzo dell’osservatorio trimestrale della Federazione.
Il lavoro prosegue con un’indagine Cati finalizzata a misurare l’impatto della pandemia attraverso la percezione delle imprese, rilevare le misure adottate per fronteggiarla insieme alla fiducia nella capacità di resilienza del mercato.

Un ampio e approfondito capitolo del rapporto Fipe è dedicato, grazie al contributo di Tradelab, ai consumi e ai consumatori, con informazioni dettagliate sulla dinamica dei consumi alimentari fuori casa e sui comportamenti dei consumatori.

Il rapporto si chiude con un contributo di Bain & Company finalizzato a rilevare il punto di vista dei diversi attori della filiera (agricoltura, industria, intermediazione, ristorazione) sulle prospettive del settore nel breve e medio periodo e sulle azioni che ciascun soggetto deve mettere a terra per accelerare il processo di ripartenza.

Un'occhiata ai risultati

Di certo non occorrevano indagini particolari per rilevare il dato che l’anno centrale della pandemia ha messo a dura prova il settore dei pubblici esercizi, con il calo del doppio dei posti di lavoro creati tra il 2013 e il 2019 e la riduzione del 50% del numero di nuove attività avviate nell’anno.
Sul versante della domanda, è ugualmente inutile sottolineare la caduta libera di questo dato con i ristoranti chiusi da continui decreti legge di non sempre facile comprensione e accettazione.

Ciò nonostante, il rapporto evidenzia come ben l’85% degli imprenditori nutra la fiducia di tornare, in futuro tutto sommato abbastanza, prossimo ai livelli pre-pandemia, accompagnando questa speranza a un profondo processo di ripensamento e innovazione. Si rileva anche come i nuovi usi e consumi degli italiani, imposti dalla contingenza,  abbiano spinto gli imprenditori del settore a puntare su nuovi servizi digitali, sulla diversificazione dell’offerta e una migliorata qualità dei prodotti agroalimentari, oltre che su una cucina in grado di renderli riconoscibili e valorizzarli.

I dati della crisi

Nel 2020 le imprese avviate sono state 9.190 a fronte delle oltre 18 mila aperte nel 2010. Per contro, i dati Infocamere certificano la chiusura nell’anno della pandemia di 22.250 attività.
Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nel 2019, con oltre 46 miliardi di euro, il valore aggiunto generato dalle imprese della ristorazione è precipitato in un solo anno di 33 punti percentuali. Nel primo trimestre del 2021, Il saldo tra valutazioni positive e valutazioni negative sulla dinamica del fatturato dell’intero settore segna -68,3%, in peggioramento di 13 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante l’intero Paese si trovasse in lockdown.

Il 97,5% degli imprenditori ha registrato un calo del fatturato della propria azienda. In particolare, 6 titolari di Pubblici esercizi su 10 ha lamentato un crollo di oltre il 50%, mentre il 35,2% ritiene che il fatturato si sia contratto tra il 10% e il 50%. I motivi alla base della riduzione dei ricavi sono da ricercarsi principalmente nel calo della domanda a causa delle misure restrittive, sia sulle attività che sulla mobilità delle persone (88,8%), nella riduzione della capienza all’interno dei locali per l’attuazione dei protocolli di sicurezza (35,4%) e nel calo dei flussi turistici (31,1%), in particolare di quelli stranieri.
A fronte di tutto questo, i ristori previsti dal governo sono stati insufficienti. Per l’89,2% degli imprenditori i sostegni sono stati poco (47,9%) o per nulla (41,3%) efficaci.

E i costumer?

Costretti a casa dai lockdown, gli Italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno. Tuttavia, gli italiani hanno speso meno soprattutto per prodotti agroalimentari di qualità superiore (vino, olio, piatti elaborati), comunemente consumati in maniera maggiore all’interno dei ristoranti.

Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi. Se a luglio 2020, periodo nel quale i locali sono tornati a lavorare a buoni ritmi, la colazione rappresentava il 28% delle occasioni di consumo complessive, a febbraio 2021 la percentuale è salita al 33%. L’esatto contrario di quanto accaduto con le cene, passate dal 19% a meno dell’11%. A conti fatti, a febbraio di quest’anno colazioni, pranzi e pause di metà mattina hanno costituito l’87% delle occasioni di consumo fuori casa. Mentre è completamente scomparsa l’attività serale.

I tempi e i modi della ripresa

Per meglio definire tempi e modalità della ripresa, Fipe-Confcommercio ha interpellato alcuni qualificati rappresentanti dell’industria, della distribuzione e della stessa ristorazione. Per quanto riguarda il ritorno ai livelli di fatturato pre-Covid, il 72% degli intervistati si divide equamente tra chi lo ritiene possibile nel 2022 (36%) e chi invece prevede uno slittamento al 2023 (36%). Resta un 27% di pessimisti che ritiene plausibile un ritorno a pieno regime solo nel 2024. In generale, la speranza è quella che l’effetto rimbalzo dei consumi fuoricasa nei prossimi 3-5 anni possa portare a un incremento dei consumi nei pubblici esercizi tale da superare i livelli del 2019.

Per cogliere questa opportunità, tuttavia, gli imprenditori dovranno puntare su un incremento dei servizi digitali, a cominciare dall’home delivery e da forme di take away sostenibili ed efficaci, attraverso menù appositamente studiati. Si dovrà inoltre puntare su un miglioramento della qualità, puntando su una specializzazione identitaria in grado di garantire riconoscibilità a un bar o a un ristorante. Sempre più decisiva, in quest’ottica, anche una puntuale attività di marketing e comunicazione.

Il rapporto Fipe 2020 è qui.

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