Il cuore di Barbaresco è una strada. Sono poco più di 100 metri, un cordino d’asfalto sorretto ai capi da una chiesa sconsacrata, che ospita l’Enoteca Regionale del Barbaresco, e un’antica torre d’assedio, oggi museo e punto panoramico sui tetti del paese e l’alveo del Tanaro. Nel mezzo, il Municipio, un paio di ristoranti, e due cantine che hanno reso gigante questo minuscolo comune: Gaja (c’è bisogno di presentazioni?) e i Produttori del Barbaresco, la cooperativa fondata nel 1898 che annovera oggi una cinquantina di soci, custodi di una costanza qualitativa invidiabile.
Proprio a fianco dell’Enoteca Regionale, sorge Campamac. Bisogna rifugiarsi nel piemontese per carpirne il significato. Quel “mettine ancora, dacci dentro” usato nei saluti di arrivederci, ma anche il motto che Maurilio Garola, executive chef del ristorante, già celeberrimo in Langa per la Ciau del Tornavento, usa da sempre per suonare la carica alla sua squadra in cucina. Il suo socio è Paolo Dalla Mora, manager friulano con il pallino per la gastronomia.
Tradizione familiare
«Sono cresciuto nel ristorante di famiglia, tra Udine e Venezia, due luoghi dove la brace di carne e pesce della Laguna sono di casa. Nelle Langhe, a Barbaresco in particolare, mi sono fermato per questioni di cuore» racconta Paolo Dalla Mora, che, nel suo girovagare, ha appreso l’arte di frollare la carne. «Una tecnica che ho scoperto in Canada e in America. Ogni volta che passavo da New York, l’ultima tappa era la steakhouse di Peter Luger. Ma anche a Milano ho avuto un maestro: il Baffo, ex titolare del Grifo Nero, un’osteria che sorgeva in via Solari». E l’idea di aprire un ristorante con Maurilio Garola? È nata un po’ per gioco. «È stato uno dei primi amici che ho avuto in Langa. Ci siamo annusati. Una sera ci siamo sfidati a cena: la “mia” carne contro la sua. Lui è arrivato con i Cazzamali, eccelsi macellai, che hanno portato della carne straordinaria. Ma quando è stato il momento della comparata, la fassona contro la mia bistecca, frollata un mese con l’aiuto del Baffo, non c’è stata storia. Ok, siamo pronti a fare qualcosa assieme, mi ha detto Maurilio». E così è stato.
Il Campamac ha aperto il 14 novembre 2017, con un concept molto chiaro: essere una steakhouse moderna e osteria gourmet, nel cuore delle Langhe. All’interno, nessuna tovaglia a scacchi bianchi e rossi, ma un locale bellissimo che conduce altrove. Potrebbe essere a New York o Londra, eppure non tradisce lo spirito del luogo. «Merito dell’architetto, bravissimo nel concretizzare gli spunti miei e di Maurilio».
Le cucine
La prima cosa che si vede entrando al Campamac è la cucina, anzi le cucine: la prima con la Molteni in bella vista e la griglia per le carni, la seconda dedicata a primi e secondi. Poi, come un manifesto programmatico, ecco le carni a frollare. Ogni particolare è cesellato: i pavimenti sono intarsiati di marmo bianco e nero, le pareti in cemento grezzo contrastano con il vetro e gli accenni di boiserie vintage. E poi ci sono piante, piante dappertutto, rigogliose e curatissime, come in una serra tropicale. Un insieme luminoso e contemporaneo, in cui spiccano anche luci e opere d’arte, e poi i tavoli apparecchiati senza tovaglie, per una mise en place ricercata che cattura lo sguardo soprattutto per i piatti Seletti, caratterizzati dall’unione di due metà diverse. Straordinarie, infine, le tre cantine: una dedicata a bianchi e Champagne, la seconda agli spumanti (Alta Langa, Trentodoc e Franciacorta), la più importante ai rossi. «Il 70% sono Barbaresco, poi 20% altri rossi piemontesi, a partire dal Barolo. Infine un 10% di altri vini per quando si è stanchi di bere Piemonte: Borgogna, Toscana e Sicilia».
I fornitori
Chi viene qui, non salta una portata di carne. E non potrebbe essere altrimenti? È il pezzo forte del locale. Le carni provengono da tre allevamenti rigorosamente al pascolo in Nord Europa oltre che da allevatori di Fassona locali. «La fassona la frolliamo fino a 30 giorni, la bistecca Campamac fino a 90. Troppo magra la prima per andare oltre con le frollature, ma è straordinaria nella battuta, per esempio». Che qui diventa Tonno di terra, in una morbidissima interpretazione della carne cruda che può aprire il pasto. Il menu, gigantesco nelle sue proporzioni (ricorda quelli di Bocuse), cambia quattro volte l’anno. Tra gli antipasti, Due fette di salame, ma anche il prosciutto crudo friulano D’Osvaldo o il trittico Langhet (carne cruda, insalata russa, vitello tonnato). Tra i primi, il piatto simbolo sono i Plin ripieni di oca selvatica serviti col suo ristretto. Mentre i Tajarin ai 40 rossi d’uovo (sì, 40 rossi per ogni kg di farina) raccontano la vecchia Langa e possono essere accompagnati anche da un carpaccio di porcini o tartufo bianco, quando è stagione. Poi c’è la griglia. Fassona, tagliata, Tomahawk Steak, Chateaubriand sono solo alcune delle proposte. La Bistecca Campamac è monumentale. Frollata almeno 60 giorni, viene cotta in due tempi: il primo passaggio per creare il bark (la crosticina) perfetto, poi, dopo un periodo di riposo, viene finita nuovamente alla griglia.
«Ogni giorno facciamo il pane fresco, le paste, i ripieni, i condimenti: qui c’è un’autentica ossessione per la materia prima. E l’idea di offrire qualcosa che in Langa non c’è».
Profilo
Campamac
strada Giro della Valle, 1 Barbaresco (Cn)
www.campamac.com
Numero coperti 90
Superficie cucina 250 mq
Superficie sala 250 mq
Numero addetti 22 (10 sala / 12 cucina)
Scontrino medio: € 80
Fornitori Molteni (cucina), Seletti (piatti)