Foraging: quando lo chef mette gli scarponi e va per boschi e sentieri

Sostenibili, territoriali, Ma soprattutto capaci di caratterizzare una ricetta. Ecco come e perche’ erbe, funghi, gemme, cortecce sono sempre piu’ amati dagli chef

Che l’innovazione affondi le radici nella tradizione è un luogo comune piuttosto abusato. Però, non si può negare che sia vero nel caso del foraging, cioè la raccolta di prodotti che la natura offre spontaneamente. I nostri antenati vi hanno fatto abbondante ricorso fin dai tempi più remoti.

Fino al Secondo dopoguerra, cibarsi di ciò che di commestibile si trovasse in prati e boschi, lungo fiumi e in riva al mare, è spesso stata una necessità per integrare la dieta quotidiana con alimenti freschi e ricchi di proprietà nutritive: cicoria, ortiche, tarassaco e borragine, funghi, frutti di bosco e castagne, erbe aromatiche e salicornia, sono alcuni degli esempi che vengono in mente. Poi, il benessere diffuso ha trasformato la raccolta in un’attività tutt’al più occasionale, da scampagnata domenicale.

Solo negli ultimi anni l’uso di prodotti spontanei è entrato di prepotenza nelle cucine dei ristoranti grazie a concetti come km zero, territorio, sostenibilità e ricerca di nuovi sapori. La strada tracciata da chef come Marc Veyrat in Francia, Rene Redzepi in Danimarca, e, tra gli altri, Mariangela Susigan e Alessandro Gilmozzi in Italia, ha fatto il resto.

1La cucina naturale di Roland Lamprecht

Gli ingredienti per la cucina naturale di Roland Lamprecht, chef del Forestis di Bressanone (Bz), situato a 1.800 mslm nelle Dolomiti, provengono spesso dalla natura circostante, oltre che dagli agricoltori della zona, in un connubio che unisce il rispetto per la tradizione culinaria altoatesina alla creatività moderna. Boschi e prati di montagna montani forniscono così erbe aromatiche, noci, bacche, arbusti, cortecce e aghi di pino, utilizzati sia nei piatti sia nella preparazione di cocktail del bar.

Un piatto emblematico della sua cucina del bosco è la Zuppa di ortiche con chips di foglie d’ortica: «Soprattutto in primavera le foglie di ortica sono particolarmente tenere e sono ideali per fresche insalate, pesto o per una raffinata zuppa», spiega Lamprecht, che ricorda anche le proprietà curative della pianta selvatica. Con le tipiche erbe primaverili (ortica, malvarosa, margherite, aglio orsino, aglio selvatico, senecio, cerfoglio, piantaggine, erba dei prati, foglie fresche di betulla o nocciolo, ecc), Lamprecht prepara una richiestissima insalata. Anche per il Tè alle erbe selvatiche servito tutto l’anno vengono usate erbe stagionali, a volte con aggiunta di frutti di bosco.

2Mirko Gatti: «Usare il territorio per mettere nel piatto determinati sapori dei boschi»

Un altro chef che ha fatto della raccolta uno dei pilastri della sua cucina è Mirko Gatti, del ristorante Radici di San Fermo della Battaglia (Co). «Sono sempre stato attratto dalla natura selvaggia. Per me, usare le erbe spontanee significa usare il territorio per mettere nel piatto determinati sapori dei boschi, dei prati, dei fiumi», dice Gatti, che si occupa direttamente della raccolta, con la consulenza di una botanica, e organizza anche escursioni di foraging. Gatti attinge in gran parte al territorio circostante, mentre per i licheni e o le piante di alta montagna si sposta verso Alpi e Prealpi. Solo per le alghe e le erbe della costa marittima si affida a un forager.

Oltre alla raccolta, gli altri due pilastri della cucina di Gatti sono la fermentazione e la cottura a fuoco vivo su diversi tipi di legna. «Raccolta e fermentazione sono collegate - dice lo chef - perché la prima è legata alla stagionalità dei diversi prodotti selvatici e la seconda serve per conservarli e utilizzarli nel resto dell’anno». Gatti propone menu degustazione stagionali basati sul tipo di habitat da cui provengono i prodotti spontanei. In primavera l’habitat lacustre fornisce pesce d’acqua dolce e piante acquatiche, in estate è il mare a dare il pesce e poi alghe e piante costiere.

In autunno, infine, foresta e bosco donano piante, bacche, foglie. Una proposta del menu lacustre è l’anguilla cotta a fuoco vivo, laccata con una salsa a base di miso di funghi («una bomba umami», la definisce Gatti) e abbinata a un bouquet di erbe e fiori (asparagi selvatici, nasturzio selvatico, crescione) e a un’emulsione di erbe acquatiche. Come snack, vengono serviti fiori di calendula fritti in una pastella a base di miso accompagnati a uovo fermentato.

3Stefano Basello: «Non voglio che una certa esperienza vada perduta»

Stefano Basello, chef del ristorante Al Fogolar 1905 di Udine, ha cominciato sei anni fa ad avvicinarsi in maniera più strutturata e intensiva al foraging.

«Mia madre e mia nonna andavano a raccogliere erbe spontanee, non volevo che la loro esperienza andasse perduta - racconta -. Allo stesso tempo, avevo bisogno di approfondire l’uso di queste erbe oltre la tradizione, per questo ho deciso di frequentare un corso di Valeria Margherita Mosca (esperta del foraging, ndr)».

Basello si occupa di persona di raccogliere quel che il territorio friulano offre nelle diverse stagioni, salendo dalla pianura alla montagna man mano che la natura si risveglia alle diverse quote. Così, all’inizio di marzo ha raccolto gli amenti del nocciolo nelle zone pianeggianti, in attesa di cogliere l’aglio orsino che stava sbocciando a Nimis e Attimis. Con le cortecce di abete bianco e rosso e di betulla, con i licheni e con le ghiande cadute in autunno, che si raccolgono appena si scioglie la neve (il tempo trascorso a terra durante l’inverno permette alle ghiande di perdere tannini) Basello ottiene una farina con cui fa il pane.

Un piatto del suo menu che sta diventando un classico sono gli spaghettoni ai profumi del monte Zoncolan, che vengono cotti nel brodo di fieno tagliato a mano da una signora ottantenne, essiccato a lungo e rivoltato più volte («è un fieno fantastico - commenta Basello - che conserva i profumi e i colori di quando viene sfalciato»). La pasta viene poi saltata in burro affumicato, «che ricorda il profumo di quando si entra in una malga di montagna», finita con allium victorialis, simile all’aglio orsino e raccolto in estate sul Zoncolan, polvere di licheni e briciole di pane ai licheni, e adagiata su una crema di faggiole (semi del faggio): «questo piatto è come il racconto di una passeggiata sul monte Zoncolan», conclude lo chef.

4Antonio Biafora, una tradizione di famiglia

La tradizione di famiglia è stata un punto di partenza anche per Antonio Biafora, chef del ristorante Hyle, che si trova a 1.300 m sul mare a San Giovanni in Fiore (Cs). «Ho un buon rapporto con il foraging - spiega -. Mia nonna raccoglieva per sopravvivere quel che la Sila dà nei vari periodi dell’anno. Sono sapori che ricordano la casa e la famiglia e che noi oggi continuiamo a raccogliere.

La Sila ci dà tanto». Funghi, in primo luogo, di cui Biafora ama proporre non solo i porcini, come nel Riso riserva San Massimo, caprino, porcini e ginepro, ma anche le varietà meno comuni. Si comincia a inizio primavera con i marzuoli, «molto carnosi, che incubano sotto la neve e cominciano a puntare quando la neve si scioglie», e poi le morchelle, piuttosto rare in zona, che crescono sui terreni bruciati intorno a maggio-giugno, fino ai rositi, dal caratteristico cappello rosso, molto tenaci, che hanno bisogno di un cottura attenta («però sembra di mangiare della carne - dice lo chef»).

Oppure agli ordinati, così detti perché crescono, appunto, in maniera ordinata. Grazie all’attività del padre e dei nonni, nel tempo si è creata una rete di raccoglitori di fiducia. «Un mio raccoglitore da qualche tempo cerca tartufi in fascia presilana, fino a 1.400 mslm - confida Biafora, sempre alla ricerca di sapori nuovi -. Non sono profumati come quelli di Langa, però sono tipici delle nostre zone». Oltre ai funghi, Biafora raccoglie anche erbe come cicoria, ortiche e trifoglio selvatico e utilizza le gemme del pino laricio.

Quand’era piccolo la nonna gliele faceva raccogliere per farne decotti invernali, oggi invece lui ne sfrutta le proprietà balsamiche per preparare quello che chiama «miele» di pigne: la parte resinosa delle gemme e delle pigne verdi estratta in barattoli di zucchero a 50-60°C, per ottenere uno sciroppo balsamico denso come il miele. Un altro prodotto ormai raro è l’ananzu o anice nero della Sila, il cui sapore particolare, «più balsamico e rotondo dell’anice comune», si mantiene fresco anche per anni. Biafora lo usa in gelati, creme, salse.

5L'impronta green di Daniel Zeilinga

Daniel Zeilinga è lo chef del ristorante Faulà del resort Casa di Langa di Cerreto Langhe (Cn), dove propone una cucina dalla forte impronta green. Oltre all’erbario di fianco alla cucina, ha a disposizione i 42 ettari di boschi e verde che circondano la struttura e dove raccoglie erbe spontanee come pimpinella, cinquefoglia, spinacio selvatico, aglio orsino.

Per i funghi, invece, si affida a 2-3 raccoglitori fidati che portano porcini, ovuli, trobette dei morti e spugnole. Sia per quanto riguarda il foraging, sia in generale, la filosofia di Zeilinga è di collaborare con piccoli fornitori locali. Quanto al menu, i vegetali sono i protagonisti indiscussi del menu dell’orto, che non contiene proteine animali. Tra i piatti più significativi, l’indivia cotta a bassa temperatura e poi passata sotto la salamandra, con una crosta di nocciole che evoca la terrosità del sottobosco e un fondo a base di funghi vari (champignon, spugnole, trombette, porcini secchi, cardoncelli) che, afferma lo chef, «ha la forza e la densità di un fondo di carne».

6I precursori della raccolta

Negli ultimi anni sono fioriti i corsi e i libri destinati a chi vuole accostarsi al foraging e imparare a distinguere le erbe e conoscere le regole basilari per la raccolta senza recare danni a chi li consuma e all’ambiente.

Tra i pionieri del foraging in Italia c’è Noris Cunaccia, raccoglitrice sulle natie montagne del Trentino, titolare col fratello Giovanni di Primitivizia, che ha insegnato e insegna a raccogliere erbe ad alcuni dei più noti chef italiani. Un’altra che tra le prime ha fatto del foraging e della divulgazione intorno al foraging il suo lavoro è Valeria Margherita Mosca, fondatrice di wood*ing – wild food lab, un laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico per l’alimentazione e la nutrizione umana.

E poi naturalmente Mariangela Susigan del ristorante Gardenia di Caluso (To) (nella foto in alto) e Alessandro Gilmozzi, del ristorante El Molin a Cavalese (Tn), che, con la collaborazione della botanica Lucia Papponi, hanno dato vita al libro La cucina delle erbe spontanee. I due chef da anni incentrano la propria cucina intorno al foraging. La Susigan organizza addirittura delle escursioni con i propri clienti a caccia di quanto la natura offre.

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