Prodotti selvaggi e cotture tecnologiche. Ristoranti gourmet, ma popolari. Studio della materia prima e delle tradizioni locali come trampolino per il futuro. Il pensiero delle nuove leve della gastronomia mondiale, andate in scena a Identità Golose
Cucina di ricerca, locali “no frills”, tipicità rivisitata, studio della materia prima, ingredienti e mise en place fuori dall’ordinario. Sono alcuni dei concetti chiave che in vario modo accomunano i “giovani leoni” della cucina, fra i protagonisti dell’ultima edizione del congresso milanese di alta cucina Identità Golose, dedicato al tema del "rispetto".
Professionisti meno che quarantenni, abbastanza giovani da avere energie, curiosità e libero pensiero da applicare alla cucina, ma abbastanza grandi per anzianità di servizio ed esperienza da poter suggerire qualcosa di nuovo ai colleghi in platea.
Detto, fatto. Dalle loro lezioni di cucina emergono spunti che hanno divertito e incuriosito tutti. Ad esempio i fratelli brasiliani Castanho: Thiago (chef) e Felipe (pasticcere) sono “figli d’arte” e il ristorante del padre è uno fra i più rinomati del Paese. Oggi i due sono responsabili di un loro locale, il Remanso do Bosque, a Belém, vicino al Parco Nazionale dell’Amazzonia. Un ristorante tanto apprezzato per la griglia quanto per l’utilizzo di molte materie prime “selvagge” e spesso poco note, che provengono dalla vicina foresta.
Così la loro lezione milanese parte proprio da questi ingredienti, in particolare la manioca che, dice Thiago: «È per noi brasiliani l’equivalente del pane per gli italiani, che da noi ogni comunità lavora e utilizza in modo differente».
Proprio dalla radice di manioca si estrae il tucupì, un liquido commestibile solo dopo la cottura, che mescolato con l’Ashai e successivamente essiccato è utilizzato dai Castanho per impanare il pesce fritto e ottenere dei sapori particolari. E visto che la manioca è un ingrediente versatile, un modo nuovo per utilizzarla è usarla per preparare gnocchi insaporiti alla banana platano, che a un tempo è grigliata, trasformata in polvere, usata in infusione e perfino essiccata e usata come contenitore degli gnocchi stessi, a mo' di barchetta.
Cucina urbana spagnola
Dalla jungla alla metropoli, fra i “giovani leoni” della gastronomia mondiale c’era anche Rafael Peña (ristorante Gresca, Barcellona) che elabora una “cucina urbana” elegante ed essenziale, che “parla” al palato del consumatore con i suoi sapori noti e netti. Perché, dice Rafael: «Al Gresca non cerchiamo i prodotti strani, ma quelli semplici, della tradizione». Già, ma rivisitati con l’eleganza e l’intelligenza del cuoco. Così la sardina appena scottata col cannello è ricoperta con una “pelle” ghiacciata fatta con burro e acciughe sotto sale e trasmette semplicità e genialità nei suoi sapori primitivi. Anche la tradizionale tortilla riceve la sua interpretazione d’autore: a una base di riso cotto con molta cipolla si aggiungono baccalà ed erbette profumate e un tecnologico tuorlo d’uovo cotto sottovuoto che conferisce cremosità; e poi briciole di putifarra (una saporita salsiccia spagnola) e fette di pancetta stagionata tostata. Consistenze e sapori che tengono allegro il palato, pur nel filone della tradizione.
Bistronomia no frills
Anche il francese Bertrand Grébaut del ristorante parigino Septime si rifà alla tradizione del bistrot, o meglio della bistronomie, che sembra essere il concetto di ristorazione più in linea con i tempi: quello di una cucina di ricerca in un contesto “no frills”, dove si bada all’essenziale per contenere i costi e rendere accessibile e quanto più possibile popolare l’alta gastronomia.
Bertrand punta a cibi semplici, poco manipolati, ingredienti vegetali, cotture soft. «Mi piacciono le verdure e mi diverte farle diventare protagoniste di molti piatti». Ad esempio quello a base di indivia cotta sottovuoto, poi brasata in padella e servita con crema di formaggio, Cecina (salume spagnolo), tuorlo e pane tostato. E ama i menù che alternano piatti a sorpresa e altri rassicuranti, ma mai noiosi. «La mia non è una cucina rivoluzionaria - dice - ma che punta tutta sul prodotto».
Così accade quasi sempre che il primo piatto al Septime sia qualcosa che appartiene alla famiglia dei carpacci, pesce o carne che sia. Al congresso ha proposto quello di manzo affumicato, abbinato a tocchetti di anguilla, essa pure affumicata, con formaggio fresco vaccino, olio e limone, grano saraceno, acetosella e trevisana. Semplicità nelle tecniche, immediatezza di sapori.
Di questo chef ci colpisce un’osservazione che varrebbe un pensiero da parte della nostrana ristorazione. «In Italia - dice Grebaut - c’è un servizio gentile, che spesso manca in Francia. Ma la forza della cucina francese è che non c’è quasi più distanza tra alta cucina e bistrot». Che sia il futuro?