Nel cuore della Bergamasca, a Brusaporto, i fratelli e chef a tre stelle Enrico e Roberto Cerea portano avanti la tradizione di una raffinatissima cucina - in cui il pesce di mare, funghi e tartufi hanno una grande rilevanza - che già con il padre Vittorio aveva dato grande fama al locale.
A Enrico, per tutti “Chicco”, chiediamo di tirare le somme di questo decennio di ristorazione italiana.
Come ti pare sia cambiato il settore in questo periodo?
La ristorazione e la cucina sono in continua evoluzione, il cambiamento si avverte già nelle attrezzature stesse che continuano a migliorare e che sono sempre più di aiuto ai cuochi, ma di cui bisogna saper fare un uso corretto. Altrimenti il rischio è snaturare il lavoro del cuoco stesso, che dà il quid in più: la sua passione e la sua capacità. È cambiata la presentazione del piatto, sempre più essenziale, che dà rilievo ai sapori netti; un cambiamento che si avverte soprattutto nella cucina dei grandi ristoranti.
Dal canto vostro, in che direzione vi siete mossi in cucina?
Il punto di partenza è la solida soglia della tradizione; la nostra capacità è stata quella di avvertire i cambiamenti e farli nostri, in linea con le nuove esigenze della clientela. Bisogna capire i cambiamenti di un dato momento storico, sempre offrendo emozioni a chi viene nella nostra casa.
In questo momento storico, dunque, quali sono le linee guida? Il futuro potrebbe essere nella cucina del territorio?
Mi piace ricordare che mio padre, già negli anni ’60, ha avuto il coraggio di guardare oltre i prodotti del nostro territorio grazie alla sua capacità di creare relazioni commerciali con commercianti di Sicilia e Sardegna e portando in città del pescato di altissima qualità, che solo in pochi riuscivano ad offrire. Questo ci ha fatto conoscere in Italia e nel mondo; se ci fossimo attenuti solo al nostro territorio sarebbe stato un limite, forse oggi non saremmo qui a parlarne. È importante puntare al territorio per valorizzare i produttori locali e dare loro il giusto riconoscimento (anche economico) ma, con la logistica che oggi abbiamo a disposizione, bisogna spaziare e ricercare i migliori prodotti nel mondo. Così come da altri Paesi del mondo si rivolgono all’Italia per cercare le nostre eccellenze.
In questi dieci anni sono emerse tecniche che hanno cambiato il modo di fare cucina?
Sono convinto che non si scopre più niente. Anche la cottura a bassa temperatura, oggi universalmente adottata, è una tecnica che, come la storia insegna, si usava già in tempi passati. Ovviamente oggi i metodi e le procedure sono perfezionate e perfettamente controllabili.
Come è cambiato il cliente?
In generale è sempre più attento e conoscitore, anche se riscontro che in molti pensano di sapere, mentre invece hanno solo una infarinatura grazie a quello che passa in tv o ai messaggi che alcuni cuochi trasmettono, a volte in modo non corretto. Il che a mio avviso non giova alla categoria.
Pensiamo al futuro. Ci sono linee guida “forti”?
Lo dico da tempo: in cucina dobbiamo prestare sempre maggiore attenzione alla qualità e alla salubrità. Dobbiamo essere capaci di proporre un piatto bello e buono, che faccia dello stare a tavola una festa, ma che abbia un occhio di riguardo verso la salute. Un compito non facile per noi cuochi, ma anche per il maître di sala che dovrà avere sempre più competenze sugli ingredienti, sulle cotture, sui vini e dovrà saper dare adeguate informazioni agli ospiti. Il tutto possibilmente parlando due o tre lingue.