La grammatica dei sapori - titolo del saggio di Niki Segnit esposto in una piccola biblioteca di sala -, il ventottenne chef russo de L’Arcade di Porto San Giorgio l’ha imparata in scioltezza, così come quella della lingua italiana. Non un’esitazione per Nikita Sergeev, che utilizza con disinvoltura vocaboli anche complessi della terra che lo ospita dal 2006 (senza ancora un diritto di cittadinanza riconosciuto) e con altrettanta conoscenza di causa ne ha adottata cucina ed ingredienti. Se domandi a questo giovane cuoco moscovita, oramai naturalizzatosi nel Fermano (nelle Marche), in cosa è rimasto legato alla tradizione culinaria russa, non trova risposte. «In passato - ammette, cercando con la memoria di ripercorrere l’evoluzione dei propri gusti e delle sue propensioni ai fornelli - utilizzavo maggiormente affumicature e fermentazioni. Ora non ne ho più alcuna volontà. È diventato troppo di moda nell’alta cucina».
Restano forse alcuni ingredienti a tradire le sue origini, come le rape rosse che siedono sulle chips di riso e ricciola, ma è impossibile sottolinearlo quando anche il finger food servito in antipasto si compone, insieme a quello, di oliva tenera all’ascolana glassata al gin, indivia belga con crema di ostrica, pane carasau con baccalà cipolline e uvetta, panbrioche con mozzarella e acciuga, cotenna di maiale soffiata con salsa di prezzemolo e salsa carpione, sgombro marinato con aglio nero fermentato. Un guscio di riccio di mare siede quasi su un giardino zen facendo bella mostra di cannolicchio, percebes, animelle e spinacino. Un’ostrica galleggia e si imbeve in un succo di mela, estratto a caldo. I gamberi rossi di Mazara si adornano di finger lime e coriandolo, con la nuova salsa di gin, cocco e lemonglass. I trucioli di seppia dell’Adriatico, si guarniscono con limone bruciato, olio extravergine e salvia.
Il carciofo marchigiano come si mangia in Bretagna si sdraia poi su un piatto spennellato dalle tonalità dei verdi della Valdaso da cui proviene, come anche della senape di Digione. Il brodo di faraona lambisce un isola di peperone piquillo e tartufo bianchetto. Come dipinti, i ravioli di mousseline di branzino, con demi-glace di verdure e alga nori, stagliano la propria brunitura sul bianco del piatto. Seguiti, su smalto fumée, da una guanciola di tonno rosso brasata, con fondo ristretto e verdurine taglio brunoise. Finché l’originale predessert di rucola con olio e papaya apre la porta al dolce - visciole nostrane, con mandorle e meringhe, granita al lime e foglia d’argento – e alla piccola pasticceria, con assaggi di crema di vaniglia e mora, cheesecake al lampone, bacio di dama e ribes, brownie allo yogurt.
Oltre alla proposta di un pranzo di lavoro leggero e gustoso, con tre portate e un calice di vino incluso a 30 euro, sono due i menu degustazione, da cui è poi anche possibile scegliere ciascun singolo piatto al prezzo di 9 euro. “Libera ispirazione dello chef oggi” (65 euro, con degustazione di vini abbinata a 35 euro) è un percorso di 8 portate, selezionate giorno per giorno dallo chef e composte dai prodotti reperiti quotidianamente sulla piazza dai fornitori di fiducia di ittico e verdure. “Percorso Nikita” è invece un viaggio compiuto mediante 13 piatti, con dolce a scelta (100 euro, con degustazione di vini abbinata a 45 euro). Pagina a sé per “Gli storici”, con tris di antipasti, ostriche, vincisgrassi, risotto al sedano rapa e sentori di mare, limone candito e capperi, e ancora fusilloni, ventresca, piccione. Per finire con una carta dei tè, consegnata a parte, così come la carta dei vini da meditazione (muffati, passiti e fortificati) e quella dei digestivi. Acqua Perrier Minerale rinforzata col gas della sorgente, 5 euro come il coperto, che include grissini al curry, sfogliatine croccanti, focaccia a lunga lievitazione e un pane di grani antichi, accompagnati dall’olio di Olive Gregori di Montalto delle Marche (Ap).
Ecco quindi che gli ingredienti de L’Arcade sono gioco forza tanto internazionali quanto italianissimi, e di frequente proprio marchigiani. «Le verdure sono tutte di stagione e vengono qui dalla Valdaso. I piccioni li preferisco del Nord Italia, o francesi, per via delle carni più grasse. In Piemonte prendo le animelle. Il pesce da fornitori di San Benedetto e di Ancona che presidiano i porti più importanti - spiega Nikita Sergeev, cercando di definire anche il proprio stile -. Mi ritengo un neoclassicista. Nessuna avanguardia. Nelle mie ricette c’è spesso una salsa, o un fondo tirato. Ho il supporto aromatico-tecnico della cucina classica, anche se la mia è una ristorazione di ricerca. Chi vuol mangiare bene certo deve conoscere “i gusti del popolo”, le materie prime. Ma la costruzione di un piatto a menu è un lavoro. E non credo alla storia dello chef che si alza all’alba per andare a far la spesa. Ci sono fornitori di fiducia, ben selezionati, e ciascuno in questa filiera ha un suo compito ben preciso».
Così, mentre ricorda di esser partito nel 2013 con un aiuto cuoco e un lavapiatti affianco e la sua mamma Ekaterina Sergeeva in sala, ora la brigata si è rafforzata con nuovi elementi - in totale 3 persone alservizio e 4 ai fornelli, più stagisti e occasionali - e, all’incirca da un paio d’anni, un ruolo importante lo riveste il maître e sommelier Leonardo Niccià, che presiede la selezione delle circa 400 referenze di una carta dei vini, che assicura essere in costante mutazione, composta da bollicine, mezze bottiglie e grandi formati, vini bianchi locali e nazionali, rosati e orange wine, vini rossi e supertuscans. «Ecco, anche questo - chiosa il titolare de’ L’Arcade (in francese appunto arcata, come la galleria che ancora al momento li ospita, anche se stanno cercando una nuova sede qui in città) - a bere bene ho imparato in Italia».