Glifosato, fipronil, neonicotinoidi. Sono solo tre dei pesticidi che rischiano di finire nei nostri piatti insieme ai prodotti dell’agricoltura convenzionale e i cui nomi abbiamo imparato a conoscere perché periodicamente “fanno notizia”. Gli italiani, e più in generale gli europei, cercano di evitare questi ingredienti indesiderati, rivolgendosi sempre più ai prodotti biologici. Basta fare un giro tra gli scaffali dei supermercati: lo spazio riservato al bio continua a crescere tanto che, nel 2017, una famiglia italiana su cinque ha comprato almeno un prodotto bio a settimana. E gli italiani apprezzano il bio non solo al supermercato, ma anche al ristorante.
Il gruppo Ethos, ad esempio, comprende una decina di ristoranti, ognuno con la propria insegna. Come suggerisce il nome, il gruppo pone pratiche etiche e sostenibili al cuore della propria offerta. Solo uno dei ristoranti del gruppo, l’Ambrosia di Milano, è certificato bio. Ma anche negli altri, rivela Alessandro Rosini, chef supervisore dell’area di Milano, viene usata «Una buona percentuale di prodotti biologici», approvvigionati attraverso la rete EcorNaturaSì e altri fornitori. Il bio, riconosce Rosini, ha costi maggiori. «Le aziende agricole bio non usano pesticidi e fertilizzanti chimici, quindi la resa è inferiore rispetto alle aziende tradizionali. Però nei prodotti bio si sente il vero sapore». All’Ambrosia, racconta lo chef, rispetto agli altri ristoranti del gruppo, «facciamo una cucina più ricercata, per tipologie di cottura e abbinamenti». Tra i piatti in carta c’è il risotto alle mele con mix di fiori e spezie, mantecato con sidro di mele fermentato in casa con miele bio.
Simile impostazione per Bioesserì, che a oggi ha due ristoranti, a Milano e Palermo certificati bio da Icea (e un terzo è previsto entro il 2018 a Milano). «La nostra sfida - racconta Vittorio Borgia, cofondatore insieme al fratello Saverio dell’insegna, progetto nato in collaborazione con la catena di supermercati biologici NaturaSì - è stata portare il biologico nel settore fuori casa». Obiettivo, rispondere alla domanda delle persone attente alla propria salute e che vogliono “mangiare bene”. Perché la ristorazione bio è sana, ma anche gustosa. «Sfatiamo un falso mito - afferma Borgia, che rimarca che l’insegna fa parte dell’associazione Ambasciatori del Gusto -: la ristorazione bio non è né vegetariana, né vegana, né priva di gusto e facciamo molte iniziative per comunicarlo. Per esempio, lo scorso anno abbiamo organizzato una serie di biodinner in collaborazione con chef stellati ospiti». È possibile fare ristorazione usando solo prodotti bio? «Sì - afferma Borgia -. Quando abbiamo iniziato, nel 2012, era più difficile, la gamma di prodotti era più limitata. Oggi il 100% dei nostri ingredienti è bio. Se un prodotto bio non è disponibile, il piatto non è in menu». Oltre alla rete NaturaSì, Bioesserì si approvvigiona da piccoli produttori. «Sarebbe inutile centralizzare gli acquisti», spiega Borgia, che rivela come, oltre alla certificazione dei fornitori, un controllo in più viene fatto andando di persona in aziende agricole, allevamenti, cantine.
Ancora, la “biocucina” a vista è il fulcro del ristorante Bio.it di Milano, perché tutto deve essere trasparente. La linea di cucina è incentrata sulla stagionalità, la semplicità delle ricette, la tradizione mediterranea. Gli ingredienti usati sono esclusivamente bio, riferiscono dal ristorante. «Abbiamo solo una percentuale, inferiore al 5%, di prodotti che non esistono in versione bio. Il 60% dei prodotti è fornito da Bioitalia (l’azienda campana cui fa capo il ristorante, ndr) e per i prodotti freschi abbiamo diversi fornitori certificati bio». Tra i piatti in menu, gli spaghettoni con Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop con olio extravergine delle Colline Salernitane Dop e basilico fresco o la tartare di orata con fragole, succo di limone, croccante di carote, spinacino.
Tra chi, invece, non punta sulla certificazione bio c’è il ristorante Toscana Fair di Pistoia, che le verdure se le coltiva nel grande orto. «L’orto a cassoni rialzati è esteticamente molto bello e permette di lavorare meglio, perché migliora la gestione dei parassiti - racconta il contitolare Paolo Mati, la cui famiglia è proprietaria dal 1909 di un’azienda agricola -. La coltivazione nel nostro OrtoFair rispetta la visione bio e va anche oltre, pur non essendo certificata. Per esempio, di norma non usiamo rame, che pure è consentito dal disciplinare. Facciamo solo alcuni trattamenti a inizio stagione sui pomodori e le solanacee, per il resto, pratichiamo la lotta ai parassiti con gli insetti antagonisti o con batteri che eliminano i batteri nocivi». La produzione spazia dalle varietà locali, come la cipolla di Certaldo, la zucchina e la melanzana fiorentine, alle varietà più diverse che Mati si diverte a cercare in giro per il mondo, tra cui una quarantina di varietà di pomodori, 20 tipi di melanzane e altrettante di zucchine. Il menu di Toscana Fair non è vegetariano, pur essendo incentrato sulle verdure. In carta, anche carne e pesce. «Rispetto il biologico, è alla base dei nostri piatti, ma credo nella selezione di prodotti di grande qualità, anche se non certificati», afferma Mati.
Dal canto suo, «Sono molto favorevole al biologico, anche se bisogna fare attenzione, perché il termine è molto sfruttato - afferma Stefano Cerveni, chef delle Due Colombe di Borgonato (Bs), una stella Michelin -. Col prodotto certificato bio si è coscienti di servire un sapore vicino a quello vero: è il punto di partenza della mia filosofia di cucina, che vuole dare sapori naturali e ricerca la maggior qualità possibile». Cerveni, però, non si rivolge solo a fornitori certificati bio. Per la carne di manzo, per esempio, «è facile trovarne di molto buona anche se non è certificata - dice lo chef -. Invece è difficile trovare un buon pollo che non sia bio. Per questo alle Due Colombe gli animali da cortile sono bio». Come nell’insalata di pollo con sarde essiccate di Montisola, un presidio Slow Food. La presenza di prodotti bio è indicata in menu? «Se ho la certezza di avere continuità nella fornitura la indico, altrimenti no. È una questione di trasparenza».