Aridateci l’insalata di lattughini, radicchietti e misticanza (e tenetevi l’iceberg)

insalata

Mi ricordo contorni verdi e buoni. Fatti con le deliziose varietà nostrane di lattughe e lattughini, soncini e misticanze, radicchi e radicchietti. Oggi, l’incubo di chi ordina l’insalata al ristorante è lo scontro con l’iceberg mescolata all’indivia riccia, l’immarcescibile rucola e il mais in scatola, simbolico dell’alimentazione globalizzata.

Questa micidiale formula di successo è stata dettata dalla scuola americana, divulgata dai fast food, consacrata dalla bowl-mania ed è stata accolta con entusiasmo dalla ristorazione italiana che ne ha apprezzato le doti di praticità e convenienza di tutti i singoli ingredienti. Il resto (sapore, consistenza, profumo) non importa.
Squisita se cotta, quando è cruda l’indivia riccia è dura (non croccante), e amara (non aromatica). Capisco che se ne possa aggiungere qualche fogliolina sbiancata a un’insalata per darle un tocco di amarognolo e qualche ricciolo esteticamente apprezzabile. Ma dovrebbero essere poche foglioline e nulla di più. Però ha il grande pregio della conservabilità.

Se si eccettua un vago sentore di cavolo, l’iceberg è una lattuga insapore e trasmette l’idea di artificialità ma è molto amata dal fast food americano e perciò popolare presso giovani e giovanissimi di solito poco propensi alle verdure. In più è croccante e molto conservabile, con una resistenza record di tre settimane.
Della rucola parlo male fin dagli anni ottanta, ora mi limito a segnalare la persistenza di questo fastidioso infestante ancora disseminato ovunque senza criterio.  Il risultato è quello di un terzetto inquietante però capace di garantire un’insalata di moda, croccante, che non si smoscia dopo il taglio ed esteticamente invitante. E chi se ne frega se il suo profilo gastronomico è più conforme al gusto di un coniglio?

Povera insalata! Un piatto nobile e antichissimo, grande protagonista dei primi ricettari, con un origine talmente remota da confondersi con la storia stessa dell’alimentazione. E visto che l’orto d’Europa è proprio l’Italia, sarebbe logico trovare nei nostri ristoranti le insalate migliori. Invece … ci siamo fatti soffiare anche questo primato. I nostri ortaggi benedetti dal sole e dal clima mediterraneo sono i più saporiti, i meglio coltivati e i più richiesti in tutti i mercati comunitari, le nostre insalate le peggiori. Quella degli ortaggi italiani è una filiera perfetta che interrompe il suo grado di eccellenza quando arriva all’ultimo anello: il vostro, cari ristoratori. Lo dico con rispetto, salvaguardando le numerose eccezioni e con l’unico intento di contribuire al miglioramento della qualità, dell’immagine e del giro d’affari della ristorazione italiana. Fatto sta che in Nord Europa le insalate verdi sono più curate, fantasiose, offerte con varietà di condimenti, i famosi dressing, e spesso preparate con le gustose verdure importate dall’Italia.
A vostra parziale difesa, posso dire che gran parte della responsabilità dell’affaire insalata va ascritta alla composizione del menu italiano con la scansione in tre portate. All’estero, in assenza della pasta, l’entrée è spesso un’insalata verde che, una volta salita di rango di primo piatto, è stata ovviamente oggetto di maggiore cura.

Sempre all’estero, la consuetudine del piatto unico ha anche consolidato la buona prassi di presentare una pietanza sempre accompagnata da più contorni tra i quali non manca mai l’insalata. In Italia il secondo arriva da solo perché l’insalata è un contorno da ordinare e pagare a parte a un prezzo spesso esagerato. Poiché non c’è niente di più triste di un filetto appoggiato sul nulla, lo chef italiano è solito sollevarne le sorti estetiche con guarnizioni di circostanza regolarmente lasciate lì dal cliente proprio perché percepite come tali. Si sa che fogliolone di lattuga, ravanelli scolpiti a fiore, fette di carota intarsiate, ciuffi di prezzemolo riccio e mezzi pomodorini finiranno nella pattumiera dando una fastidiosa sensazione di spreco. Morale? Il secondo andrebbe sempre arricchito con una mini porzione del contorno più adatto. Se è richiesta l’insalata, deve trattarsi di un piccolo contorno di verdure crude freschissime nostrane e di stagione, condite al momento con sale e olio extravergine di oliva, con accanto uno spicchio di limone e la disponibilità di un’ampolla di ottimo aceto di vino non necessariamente balsamico. Piccolo contorno, non guarnizione. E se il piatto è troppo piccolo per contenere tutto, se ne adopera uno più grande.

 

 

 

 

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