Marketing ed etica sono termini che difficilmente vengono associati nell’immaginario comune. Anzi, quando un prodotto è promosso attraverso azioni massicce di marketing, spesso diventa, per il pubblico, sinonimo di prezzo elevato e non necessariamente di qualità. Molti pensano che il marketing si occupi di vendere qualcosa facendolo apparire diversamente da com’è, con l’obiettivo di fare business a qualsiasi costo. Un recente studio, spiega Maurizio Pessato, presidente dell’Istituto di ricerca Swg, conferma che la maggior parte degli italiani non crede che la pubblicità racconti cose vere. Di fatto oltre il 70% dei consumatori si sente ingannato. La pubblicità, dunque, non sarebbe né etica né autentica. Questi i risultati emersi dalla ricerca della stessa Swg “Pubblicità ed etica: vissuto dei consumatori e percezione delle imprese” svolta per EthicsGo, risultati che spiegano il motivo per cui alcune persone, per principio, non comprano prodotti o servizi troppo pubblicizzati: il costo del marketing andrebbe, a parer loro, a penalizzare la reale qualità o lo standard di servizio proposti e, non ultimo, non si sentono rappresentate dallo slogan “tutti vogliono avere…”, né vogliono essere incasellati in un preciso target.
I segnali del mercato sono da comprendere e anticipare. Il termine “etica” non deve essere più esclusivamente e genericamente sinonimo d’impegno sociale, ma identificare azioni concrete verso tutti gli stakeholder, per conquistarne la fiducia, diventando così un’opportunità in più per acquisire e mantenere i clienti. Molti imprenditori stanno già affrontando il difficile passaggio che porta a comunicare e a promuovere i propri prodotti e servizi eticamente, all’insegna di una filosofia che mira alla trasparenza e alla veridicità.
Si può infatti decidere di promuovere un’attività basandosi su onestà e rispetto del cliente, anche se questo sembra (solo apparentemente) una perdita di tempo o di denaro. Anche un ristoratore può avviare un percorso di marketing etico, partendo da alcune azioni che prevedono un vero e proprio “codice di condotta morale” e delle verifiche basate su Kpi (Key performance indicator). Avviare un percorso etico nel business, infatti, non è facile e spesso situazioni, persone o eventi spingono a voltare lo sguardo, a cui segue la “normale” giustificazione per quanto è avvenuto.
Per questo motivo servono un codice etico e degli indicatori di prestazione che, grazie al monitoraggio, definiscano il progresso verso un obiettivo che può avere grandi ripercussioni sul piano pratico dei profitti a lungo termine, poiché impatta direttamente sulla brand reputation. Bisogna tenere presente che la diffusa irresponsabilità di alcuni gestori ha reso più attento il consumatore, che sempre più s’informa e si difende segnalando ad altri la propria insoddisfazione, talvolta esagerando e dando così libero sfogo a questo malessere di base, che trae spunto dal continuo inganno pubblicitario.