Una ricerca dell’Università di Pescara mette in luce gli atteggiamenti dei ristoratori d’alta gamma nei confronti della tipicità, un valore riconosciuto e apprezzato in cucina. Sul fronte della comunicazione la strada da fare è ancora lunga, ma porterebbe lontano
Il cibo come strumento di marketing? Kim, Eves e Scarles, ricercatori dell'University of Surrey, lo scrivevano in una ricerca del 2009, convinti che il cibo potesse fare da traino al marketing territoriale: «Il desiderio di viaggiare e assaggiare piatti unici e autentici sta diventando uno dei maggiori paradigmi dell'industria del turismo».
Considerazione ancor più vera ai tempi di Internet, con la diffusione della conoscenza dei prodotti locali nel mondo.
Strategie dei ristoratori sotto analisi
L'onda va cavalcata, sostengono Angelo Presenza e Simone Iocca dell'Università di Chieti-Pescara, che hanno realizzato una ricerca su una selezione di ristoranti di alto livello (i rispondenti sono una sessantina sui 200 migliori d'Italia selezionati dalla guida dell'Espresso cui era stato inviato il questionario), suddivisi fra Nord, Centro e Sud, indagando sulle strategie dei gestori e sul loro atteggiamento nei confronti della cucina tradizionale e dei prodotti locali.
Per lo più le domande sono state poste seguendo una scala da 1 a 5, in cui 1 significa “completamente in disaccordo” mentre 5 “completamente d'accordo”. I risultati mostrano che i ristoratori sono in genere molto ben disposti nei confronti delle tipicità, ma poco attenti alla comunicazione e all'associazionismo, nonostante considerino essenziale il miglioramento di questo asset strategico.
La conseguenza è che sono molto spesso grandi interpreti del luogo in cui si trovano, ma non altrettanto capaci di spiegare ai loro clienti che cosa fanno né ad attirare turisti provenienti da lontano con la loro proposta gastronomica.
Parole chiave per i patron
“Qualità” è la parola d'ordine per i ristoratori intervistati, che si deve declinare nel menù (voti da 4,9 a 5), nel servizio (da 4,9 a 5), nella sala (da 4,6 a 5), ma soprattutto nel piatto. Sono considerate fondamentali anche le capacità di gestione: finanziaria (voti da 4,2 a 4,8), delle risorse umane (da 4,8 a 5), del marketing (da
4,2 a 4,7) e delle collaborazioni con gli stakeholder locali (da 4,1 a 4,2).
Quando si chiede loro quali possano essere gli input per l'innovazione, la risposta è univoca: la creatività è di gran lunga l'elemento considerato più importante (voti da 4,6 a 4,9), seguita a distanza dai momenti di formazione professionale (workshop, meeting, dimostrazioni di cucina) e dal confronto con i clienti. L'importanza dei prodotti tipici nelle strategie dei ristoranti analizzati è altissima, specialmente al Sud (4,8 contro un 4,6 del Centro e un 4,4 del Nord).
Il prodotto tipico, molto più di quello locale e di quello biologico, è considerato un vero e proprio asset strategico.
Tipicità da valorizzare
Oltre a proporre prodotti tipici, gli intervistati sottolineano come sia fondamentale imparare a valorizzarli: è utile farli conoscere e apprezzare anche a chi li assaggia. Un elemento importante è indicare il nome corretto della tipicità utilizzata nel menù: oltre il 75% dei ristoratori intervistati dichiara di farlo sempre o quasi sempre. È ritenuta essenziale anche la valorizzazione della stagionalità dei prodotti, con risposte che mettono d'accordo da Nord a Sud (dall'85,7 al 70,6%).
Un po' meno considerata, invece, è l'opportunità di mostrare il prodotto stesso, specialmente al Sud dove questa tecnica di vendita del territorio non viene usata quasi mai dal 41,2% dei rispondenti.
Per sviluppare il turismo del cibo bisogna fare squadra
Si sa che in Italia (soprattutto al Sud) la tipicità si associa con la tradizione. È per questo che i ristoratori, nella gestione dei prodotti locali, si affidano prevalentemente a uno chef locale o alle competenze tramandate da familiari o colleghi.
Non sempre, tuttavia, i clienti condividono questa “missione”; secondo i ristoratori intervistati, una delle maggiori barriere nell'adottare i prodotti tipici è proprio la difficoltà di educare i consumatori sul cibo locale. Un compito cui potrebbe adempiere il turismo enogastronomico, che va sviluppato, secondo i dati della ricerca, tramite un vero e proprio network fra ristoratori e stakeholder pubblici e privati: al Nord si considera centrale il ruolo pubblico, al Sud ci si affida soprattutto al lavoro dei tour operator. Al Centro, invece, i ristoratori confidano in un miglioramento della professionalità dei ristoratori e di tutti gli attori dellla filiera.