La romanità gastronomica di Marco Mancini (rivista in chiave gourmet)

Marco Martini

Di Marco Martini abbiamo già parlato. Era il 2014, lui era a Stazione di Posta e, come diceva, aveva «conquistato una stella in un centro sociale». Nel frattempo molte cose sono cambiate. Lui è cresciuto, ha lasciato il “centro sociale”, si è trasferito in un’elegante palazzina Liberty nel quartiere Aventino, il The Corner, ma soprattutto, dopo anni da dipendente, oggi è diventato il datore di lavoro. Ci tiene molto a questo aspetto, Marco Martini. «Adesso sono io che do gli stipendi ai miei collaboratori, sono io che pago i fornitori e le tasse: sono diventato imprenditore di me stesso e di chi lavora con me».

La squadra

L’attitudine da rugbista riaffiora, anche quando si riferisce ai conti: «Per me fare spogliatoio è la prima cosa, siamo una squadra molto unita e in cucina la persona che lavora da meno tempo con me ha alle spalle almeno 5 anni. Molti mi sono venuti dietro quando ci siamo trasferiti da Stazione di Posta al The Corner ma, nella vita come nell’impresa, ricevi quello che dai. Se sei corretto con i tuoi collaboratori loro te lo riconoscono e rimangono fidelizzati. Non tutti, come me, pagano anche le tredicesime e le quattordicesime ai ragazzi». Sembra una banalità, ma evidentemente non lo è.

La svolta

L’altra particolarità è che abbiamo incontrato Marco Martini in un momento di emozioni contrastanti. Il Coronavirus mordeva alle caviglie, eravamo a pochi giorni dal lockdown, lui vedeva le prenotazioni cancellarsi, eppure aveva un’attitudine positiva perché fresco di un’esperienza che gli ha cambiato la carriera: la partecipazione come ospite a Masterchef. «Quando sono arrivato a Milano, Antonino Cannavacciuolo mi ha dato una delle sue leggendarie pacche sulle spalle e mi ha detto “giocatela bene che io ci ho aperto quattro ristoranti grazie alla televisione”, e in effetti il riscontro è stato atomico». Snocciola qualche numero per dare idea della portata del fenomeno: «96.500 persone hanno fatto accesso al mio sito quella settimana e mi sono arrivate più di 350 prenotazioni in una settimana dopo Masterchef. L’età media dei clienti che sono arrivati, dopo che è andata in onda la puntata di Masterchef, era sui 40-45 anni e non si trattava solo di romani, ma gente che da tutta Italia è venuta a Roma per me». Peccato che, poco dopo questa bella avventura, sia arrivato per Marco Martini, come per tutta Italia, lo schiaffo Coronavirus.

La riapertura

Ha riaperto il 21 maggio sia il ristorante sia la terrazza che normalmente avrebbe aperto un mesetto prima. Con la terrazza, anche in tempi di distanziamenti, i coperti arrivano a cento, ne ha sacrificato qualcuno all’esterno per dare ancor più distanziamento a quelli dell’interno, che sono rimasti 30 e che, alla ripresa, dice Martini «stanno avendo un grande riscontro, abbiamo messo a segno anche il tutto esaurito». Lo stellato che sconfina nel bar non è tuttavia una novità per Martini. «Quando abbiamo preso questo locale abbiamo deciso di puntare con decisione sul connubio cibo+cocktail, che consentiva anche di spingere l’acceleratore sui catering, approfittando dell’ampia terrazza». Catering e prenotazioni di turisti internazionali tuttavia saranno i veri grandi assenti dopo la chiusura forzata. «La nostra clientela è per metà composta da turisti e se non ripartirà il turismo a Roma e in Italia in generale sarà dura per tutto il comparto del fine dining, che si basa molto sulle prenotazioni dei viaggiatori da Michelin».

In cucina

Dal punto di vista dei piatti, la cucina di Marco Martini si è evoluta certamente con l’esperienza, cambiando però poco nell’idea di base: per lui l’evocazione dei piatti della tradizione romana è un asset fondamentale, dalle radici non si prescinde e la tecnica serve a esaltare la tradizione stessa. Ne è un esempio il tortello di mortadella in brodo di pizza bianca e pistacchi, uno dei piatti che Martini ha dato come “compito” nell’Invention Test di Masterchef. «È la tradizionale pizza e mortazza di quando andavi a scuola, ma in questo caso è ovviamente rivista. La mortadella è all’interno della pasta, che viene tostata in padella per la croccantezza, e la pizza diventa brodo». Il risultato è un’esplosione di sapori che richiamano la merenda tipica degli antichi forni capitolini.

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