«Frequentavo la scuola alberghiera, dovevo scegliere l’indirizzo e non avevo ancora le idee chiare. Nel corso di una gita a Roma mi sgancio dal gruppo, per concedermi un piccolo lusso per un ragazzino: andare all’hotel Hassler, prendere un caffè e annusare l’aria di un grande hotel a cinque stelle. Da lì le mie idee furono chiare: la sala e l’ospitalità di alto livello sarebbero stati il mio pane quotidiano».
La storia è quella di Mattia Cicognani, direttore di sala presso lo storico Palace Hotel di Milano Marittima, formatore e, ultima fatica, autore del suo libro d’esordio “Ospitalità, a Way of Life”, edito da Maretti editore, corredato dalle foto di Lido Vannucchi e pieno di consigli pratici per chi si approccia alla professione.
Inclusione e passione: le chiavi dell’accoglienza
Cicognani mette al centro il concetto di inclusione: “Inclusione è quella parola che rende eterno il concetto di ospitalità, e che racchiude in sé il senso dell’accogliere”. D’altra parte, da formatore, per Cicognani è fondamentale «costruire lo spirito di squadra, la passione, il far sognare questi ragazzi sul loro futuro». Quest’ultimo aspetto serve sia ai ragazzi per andare avanti nel loro futuro, che a chi li forma: «Insegnare per me è un fuoco sacro, ho iniziato a 25 anni e a rischio di essere impopolare dico che diffido dei formatori che non lavorano allo stesso tempo nell’ospitalità».
Una scuola dove si impara ad essere clienti
Cicognani è l’esempio di chi sta da tutte e due le parti della barricata, perché insegna sala allo IAL di Serramazzoni (MO), scuola alberghiera sull’Appennino tosco-emiliano, da circa 200 studenti, che iniziano il percorso già dal secondo anno e, obbligatoriamente devono vivere nel convitto, che di fatto è un albergo autogestito dagli studenti.
«Loro arrivano il lunedì e finiscono le lezioni di venerdì pomeriggio. Vivendo lì imparano fin da subito a capire cosa sia realmente l’ospitalità, perché sono operatori, ma anche clienti. In questo modo riescono a vedere le mancanze con un occhio diverso. Inoltre quando faccio lezione dico sempre ai miei ragazzi: provate, andate negli alberghi e nei ristoranti stellati, non occorre spendere cifre folli, ma basta un caffè, un aperitivo per rendersi conto di cosa voglia dire questo mondo».
Più che l’iperspecializzazione, ci vuole la gavetta
I primi due anni della scuola di Serramazzoni sono gratuiti, sovvenzionati dalla regione Emilia-Romagna con i fondi dell’Unione Europea. L’anno di specializzazione in parte è finanziato e in parte è pagato dai ragazzi, soprattutto per la parte relativa al convitto: «parliamo di 1.500€, niente a che vedere con i costi delle scuole di specializzazione più blasonate».
Cicognani difende l’alberghiero proprio per questo aspetto: non è da tutti potersi concedere le cifre delle scuole di specializzazione più esclusive. E d’altra parte, aggiunge, il numero dei ragazzi che si diplomano in questo tipo di scuole, seppur avvantaggiati perché già pronti per il mercato del lavoro, è una goccia nel mare della ristorazione, che ha bisogno come il pane di personale specializzato.
Attenzione però ad essere iperformati e non fare la vecchia gavetta: «Vuoi per mancanza di personale, vuoi per i titoli di studio, oggi spesso abbiamo ragazzi giovani che portano direttamente i piatti a tavola, ma questo è pericoloso, si rischia di far bruciare subito questi ragazzi. Diamo loro il tempo che serve”, aggiunge l’esperto.
Conoscere le nuove generazioni per assumerle
Forte della sua esperienza a scuola, Cicognani aggiunge che “lavorare a contatto con i ragazzi dà un enorme vantaggio, perché dalla formazione riesco a ricevere molto di più di quello che do, come aggiornamento e studio”. È un modo per conoscere da vicino la realtà delle nuove generazioni ed è anche un bacino per il recruitment. «Nelle strutture dove mi occupo io del recruitment – ammette – approfitto all’80% del bacino di ragazzi provenienti dall’alberghiero di Serramazzoni, ai quali garantisco soddisfazione e stabilità anche grazie a un accordo con un hotel di Sankt Moritz, nel quale vanno possono andare a fare la stagione invernale, non rimanendo di fatto mai fermi».
Guardare alla motivazione più che alle competenze
Cicognani riassume gli ingredienti per assumere: educazione, il desiderio di apprendere e perché no far carriera, «difficilmente assumo per le competenze già acquisite», aggiunge. Il solo Palace Hotel lo staff è composto da 35 addetti, di cui 4 maitre e un sommelier con due commis.
Di recente è stato necessario sostituire proprio la figura da sommelier, particolarmente difficile da trovare, e per questo, Cicognani dice di aver fatto una scelta controcorrente: “avevo cinque candidati, alla fine ho scelto quello con meno esperienza nell’ospitalità. Un appassionato di vino, che per sei anni aveva lavorato in un’azienda di informatica e negli ultimi due aveva fatto corsi da sommelier. Mi ha colpito proprio questo, la scelta di passare da un lavoro sicuro e stabile a uno stagionale, per pura passione”.
Biografia
Classe 1990, romagnolo Doc, Mattia Cicognani, a soli trent’anni lavora come direttore di sala presso lo storico Palace Hotel di Milano Marittima e come quality manager per il Gruppo Batani Select Hotels. Insegna inoltre da quando ne aveva 25 alla scuola alberghiera IAL di Serramazzoni, sull’Appennino Tosco-Emiliano. Quasi figlio d’arte, con un nonno ristoratore, ha frequentato a sua volta la scuola alberghiera, per poi entrare nell’ambito della ristorazione d’hotel e della formazione.