La più completa ed estesa ricerca sul riso italiano mai effettuata fino ad oggi - voluta da Ente Nazionale Risi e svolta dall’Università di Pavia in collaborazione con il Politecnico di Torino - ha dimostrato come in alcune varietà (già disponibili sul mercato) l’indice glicemico sia basso, rendendone possibile l’inserimento nel regime dietetico di chi soffre di diabete.
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I dati relativi all’indice glicemico, insieme a quelli relativi alla conformazione del chicco, rappresentano una parte di un progetto più ampio, che si avvale di studi di miglioramento genetico con l’obiettivo di selezionare varietà di riso ideali per una dieta sana e bilanciata.
La ‘salute’ dimostrata dal chicco si unisce alla sua nota sostenibilità: il sistema di irrigazione delle risaie, una rete complessa dove l’acqua non viene sprecata, ma riutilizzata, è in linea con le richieste dell’OMS di attenzione all’emergenza idrica.
Indice glicemico inferiore a 55
Per la prima volta stato dimostrato che alcune varietà di riso hanno un valore di indice glicemico che varia da 49 a 92, una media pari a 66,8 che colloca il riso italiano in linea con gli altri cereali: per fare alcuni esempi sulla base dei valori di riferimento di Oms, basso indice glicemico <55, medio indice glicemico 56-69, alto indice glicemico >70. Inoltre due varietà di risi italiani, già in coltivazione, Selenio e Argo, hanno un valore di indice glicemico rispettivamente di 49.2 e 50.5, valori straordinari se paragonati al 70 del pane bianco e al 100 dello zucchero, parametro usato come riferimento.
Una scoperta inattesa
Si tratta di una scoperta inattesa che permette di correggere il programma nutrizionale anche di chi soffre di obesità, di sindrome metabolica, di una condizione di pre-diabete e in generale di chi vuole seguire una dieta sana. Il progetto di ricerca è stato realizzato grazie a studi finanziati dall’Ente Nazionale Risi in collaborazione con l’Università di Pavia e il Politecnico di Torino.
«Il riso è un prodotto sano, indicato per tutti e per la prima volta abbiamo a disposizione un lavoro scientifico che lo dimostra - interviene Paolo Carrà, Presidente di Ente Nazionale Risi. - Il riso lavorato, da sempre viene ritenuto un alimento ad alto indice glicemico e quindi da consumare raramente e con cautela da parte dei diabetici. Questa ricerca sfata questo mito negativo. Mette in evidenza inoltre come anche alcune varietà di riso possano rientrare a pieno titolo in una dieta alimentare con un carico glicemico idoneo per coloro che presentano una patologia iperglicemica».
L’indice glicemico è un sistema di valutazione che viene utilizzato solo per i cibi che contengono carboidrati, come il riso per l’appunto. Quelli con un alto indice glicemico contengono glucidi che hanno la capacità di rendere l’alimento metabolizzabile più velocemente con un aumento della glicemia.
«Lo scopo di questo nostro studio è stato quello di valutare l’indice glicemico e l’amilosio di 25 varietà di riso Japonica - racconta Mariangela Rondanelli dell’Università di Pavia - Abbiamo quindi coinvolto dieci volontari sani e non fumatori, che tra giugno 2021 e marzo 2022 sono stati sottoposti a regolari misurazioni per valutare la risposta glicemica, sia con alimenti di riferimento, sia con le qualità di riso. I risultati hanno dimostrato per la prima volta che all’aumentare del contenuto di amilosio, l’indice glicemico diminuisce. Da qui, la classificazione delle 25 cultivar di riso Japonica in base alla risposta glicemica bassa, media ed elevata, con conclusioni che aprono la strada a nuovi approcci nutrizionali. Le due varietà, Selenio e Argo, che sono rientrate nel range più basso, sono adatte a soggetti sia con diabete conclamato, sia con uno stato di glicemia a digiuno alterato, condizione che predispone alla malattia diabetica. La variante Carnaroli Classico, ampiamente diffusa, presenta un indice glicemico medio».
Selenio e Argo
I vantaggi parlano da sé: Selenio e Argo rappresentano una strategia in più per un trattamento dietetico precoce, al fine di arrestare o perlomeno rallentare la malattia quando non è ancora conclamata, e per la prevenzione delle ipoglicemie in chi ha già il diabete, situazione che aumenta il rischio di complicanze.
Si tratta del primo studio così ampio ed è la prima volta che una ricerca scientifica va a valutare l’indice glicemico di una così grande varietà di risi italiani, ricerca che infatti ha ottenuto la pubblicazione sull’importante rivista scientifica "Starch" del gruppo Wiley.
Mare a quadretti
«Parlare oggi di questa ricerca ci consente anche di parlare di sostenibilità del riso italiano - afferma Paolo Carrà, Presidente di Ente Nazionale Risi - Le moderne tecniche agronomiche permettono di coltivare il riso sempre più nel rispetto dell’ambiente. Un paesaggio che proprio in questi giorni si sta trasformando in quello che noi chiamiamo il “Mare a Quadretti”. Ricordo che il sistema di irrigazione delle risaie non porta a uno spreco di acqua ma al contrario la stessa, passando da una camera di risaia all’altra, viene riutilizzata 2,5 volte circa prima di giungere ai fiumi. Le risaie sono come una grossa spugna che rilascia lentamente a valle l’acqua. Infine, aspetto non da poco, Carnaroli Classico e Selenio sono varietà oggi ampiamente coltivate».
Ma questa non è l’unica novità. Un altro studio, altrettanto innovativo, ha permesso per la prima volta di mettere a punto un vero e proprio identikit del chicco di riso. L’obiettivo? Disvelare e misurare i caratteri morfologici dei granuli di amido presenti nella struttura interna dei chicchi di diverse varietà di riso italiane ed estere, al fine di valutarne la relazione con le proprietà organolettiche nelle preparazioni alimentari e stabilire un’eventuale correlazione fra la conformazione della struttura interna ed indice glicemico.
«Il nostro contributo ha permesso di capire che la struttura interna del granello di ogni varietà di riso è specifica e legata a fattori genetici ereditabili - chiarisce Francesco Savorani del Politecnico di Torino - Le analisi al microscopio hanno evidenziato che la disposizione dei granuli di amido nonché le loro caratteristiche morfologiche, cioè forma, dimensione e compattezza, possono creare o meno degli spazi vuoti nel chicco e che il rapporto tra questi ed il volume occupato è differente tra una varietà e l’altra. Ed è proprio questo rapporto, chiamato porosità percentuale, a determinare la propensione del riso, durante la cottura, ad assorbire l’acqua e i condimenti e a rendere la preparazione finale un alimento nutriente, completo e gustoso».
Non solo. I ricercatori hanno evidenziato che la porosità percentuale è differente tra varietà italiane e straniere: queste ultime, così come quelle di nuova costituzione, hanno prevalentemente una struttura compatta, mentre le varietà nostrane sono in genere più porose.
«Gli straordinari risultati che abbiamo ottenuto non sono il punto di arrivo, bensì il punto di partenza della ricerca genetica dell’Ente Nazionale Risi. Questi due studi fanno parte di un progetto più ambizioso che l’Ente sta sviluppando da alcuni anni nell’ambito della ricerca genetica e ci hanno permesso di fare un salto in avanti nel complesso lavoro di selezione genetica, il cui obiettivo è la creazione di varietà di riso adatte ad una risicoltura sostenibile e capaci di soddisfare le esigenze di coltivatori e industria. In questo modo possiamo offrire ai consumatori un alimento sostenibile, gustoso e molto sano - conclude il dott. Filip Haxhari, Breeder di Ente Nazionale Risi - Il nostro riso è un prodotto d’eccellenza, unico e identitario, grazie alla straordinaria qualità del granello. Ora, l’obiettivo è di ottenere il granello perfetto».