Riserva San Massimo: il riso Carnaroli amato dagli chef

Una cena al ristorante Zia di Roma per scoprire i segreti del pregiato riso che nasce nel Parco del Ticino, ideale per risotti da alta ristorazione

«State per assaggiare il nostro riso, ma questo prodotto non sarebbe tale se non ci fosse la Riserva intorno». Parole di Dino Massignani, l’uomo che nel concreto è dietro la produzione di questo pregiato riso. Lo ha voluto a capo della Riserva la famiglia Antonello, che dagli anni ‘90 ha iniziato a occuparsi di quest'oasi naturale, nell’ottica di portarla a essere quello che è oggi. «Quando si viene da noi - racconta Massignani - facciamo fare un vero e proprio safari a soli venti minuti di auto dalle porte di Milano. Solo in questo modo si può apprezzare tutta la biodiversità di flora e fauna che sta attorno alla coltivazione. Senza di essa questo riso non sarebbe lo stesso». Un contesto naturale di circa 600 ettari, che dal 2004 è stato riconosciuto Sito di Interesse Comunitario, ZPS (zona a protezione speciale), e successivamente Patrimonio dell’Unesco per la ricchezza di piante, fiori, fauna che in esso vi abitano.

Da sinistra, gli Antonello, proprietari della Riserva, con Dino Massignani

Sono coltivati a riso, in maniera non estensiva, meno di 200 ettari, mentre il resto è lasciato a bosco, fra alberi da frutto (ma i frutti non sono raccolti e lasciati agli animali per l’alimentazione) e piante rare. L’acqua che riempie le risaie proviene direttamente dal Monte Bianco, da sorgenti di acqua a 14/18°. Perché riso Carnaroli Autentico? Perché Riserva San Massimo coltiva la varietà carnaroli autentica, benché il disciplinare consenta anche diverse varietà come il Carnac e il Carnise, simili per granulometria.

A questo si aggiunge l’attenzione all’ambiente: «Pur non essendo un’azienda certificata biologica - chiarisce Massignani -, per noi è fondamentale utilizzare solo trattamenti naturali come la cornunghia, a cui si aggiunge l’importante apporto in termini di azoto che proviene dalla naturale decomposizione organica dei vicini boschi». Nella coltivazione ci si aiuta con i droni, che fotografano le zone per individuare eventuali sofferenze delle piante e intervenire “chirurgicamente”. Nella lavorazione ci sono altissime percentuali di scarto (tutti gli scarti sono lasciati agli animali della riserva come mangime) e una successiva selezione ottica che porta al confezionamento solo i chicchi perfetti, tutti dello stesso calibro, per un totale di circa 6mila quintali l’anno. La percentuale di umidità iniziale del Carnaroli è del 24%, con l’essiccazione viene portato oltre lo standard richiesto dalla legge del 14%, all’11% voluto da Riserva San Massimo per un prodotto ancora più asciutto in grado di mantenersi meglio nei silos di stoccaggio e, allo stesso tempo, tenere di più la cottura. E ancora, il confezionamento viene effettuato con azoto, che previene la proliferazione degli insetti.

«Questa grande attenzione al prodotto - spiega Maria Antonello, proprietaria della riserva - è molto apprezzata dagli chef perché rende la cottura uniforme e i nostri chicchi rimangono ben separati. Sono in molti gli chef dell'alta ristorazione che ci hanno scelti».

L’esempio pratico arriva poco dopo al tavolo, quando lo chef Antonio Ziantoni, patron del ristorante Zia di Roma, una stella Michelin, porta il suo piatto signature: Risotto bufala, limone e genziana. Mantiene la promessa: alta masticabilità, chicchi separati, colore bianco brillante e gusto riconoscibile.

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