Al Piccolo Lago non è mai la solita zuppa

Dal Pancotto alla Ribollita: al ristorante di Marco Sacco va in scena una cucina di sostanza. Che strizza l’occhio alle tecniche moderne e ai nuovi stili di consumo. Così Verbania diventa destinazione dei gourmet

L’acqua è un elemento fondamentale nella vita di Marco Sacco, uno che probabilmente ha cominciato a nuotare prima che a camminare (e cucinare).
La cosa non stupisce, visto che lo chef patron del Piccolo Lago è praticamente cresciuto nel locale di cui la sua famiglia è titolare dagli anni ’70: un ristorante che - oltre all’eccellente cucina - ha l’impagabile pregio di una scenografica sala da pranzo protesa sulle acque pulite del piccolo lago di Mergozzo a Fondotoce, nella valle dell’Ossola.
Una zona di fiumi, laghi e torrenti da sempre utilizzati per agricoltura, allevamento e produzione di energia idroelettrica, tanto che qui l’acqua è considerata “l’oro bianco” dell’Ossola.
Ma per un grande cuoco il passo da acqua a brodo e da brodo a zuppa è breve. «Nell’Ossola la zuppa era un tipico piatto “di recupero” - spiega Sacco -, nello specifico l’umile pancotto preparato con la pagnotta di segale di Coimo, che un tempo si panificava solo una volta l’anno. Lavorare sulle zuppe mi è sembrata una sfida stimolante: traghettare questo piatto povero ma tutt’oggi interessante verso una cucina attuale, realizzandolo con tecniche e abbinamenti
moderni».

Ridurre i costi ripensando
le
preparazioni base

Da questa idea è nato il libro “Zuppe”, una materia su cui ancora nessun top chef si era cimentato in modo sistematico e in chiave moderna e che invece ha stuzzicato Marco Sacco.
D’altro canto la zuppa in chiave di terzo millennio è il paradigma perfetto di uno chef il cui motto è “prendere il passato per modellarlo nel presente e proiettarlo nel futuro”, stampato a chiare lettere sulla vetrata che al Piccolo Lago separa la sala dalla scintillante cucina a vista.

Così anche per le zuppe presentate nel libro appena pubblicato il filo conduttore è la ricerca metodologica dello chef per far sì che la componente solida della ricetta dia carattere e sapore - per infusione, col sottovuoto, per vapore, a freddo, per distillazione - alla parte liquida, ingrediente saliente di ogni zuppa anche nelle sue moderne versioni, dove spesso il brodo sembra quasi scomparire.
«In queste ricette - dice Sacco - abbiamo rivisto lo stile di preparazione del brodo per renderlo più funzionale alla cucina moderna, nell’ottica di ottimizzare il lavoro e abbattere i costi. Mi spiego con un esempio: per un brodo vegetale classico oltre al costo della preparazione e delle materie prime, servono anche un paio d’ore di gas o elettricità. Se invece ci abituiamo a mettere in un sacchetto sottovuoto acqua e verdure e mentre siamo già in cucina a lavorare lo inseriamo nel roner o nel forno a vapore, che è comunque già acceso durante il servizio, otteniamo il nostro brodo vegetale senza costi ulteriori, solo da filtrare e utilizzare al momento. E
che possiamo anche abbattere tal quale, per averlo pronto al bisogno».

Al servizio del territorio

Che siano le zuppe o gli gnocchi di ricotta di capra, il fritto di lago, l’hamburger del Mergozzo o il coniglio al Crodino, quella di Sacco è una cucina di sostanza, che prende le mosse dalla profonda conoscenza delle ricette di tradizione e incentrata su ingredienti locali, ma preparata con tutte le possibili tecniche di cottura, da quella alla griglia all’induzione, passando per la “cucina del fuoco”, una spettacolare griglia posizionata sulla linea che separa la sala di ristorazione dalla cucina vera e propria, dove vanno in scena processi di affumicatura e di cottura su fiamma.
«Oltre l’80% degli ingredienti che utilizzo - puntualizza lo chef - sono prodotti a 30-50 chilometri di distanza, dalle verdure ai formaggi, dal
riso al pesce di lago, dalla carne bovina agli insaccati».

Mission: dare allure internazionale
ai prodotti a km 0

Prosegue lo chef: «Proprio il formaggio Bettelmatt, ad esempio, è un prodotto locale che ho contribuito a far conoscere fuori dai confini valligiani e anzi è diventato il protagonista del Flan di Bettelmatt, uno dei piatti storici più richiesti al Piccolo Lago».

Da eccellente professionista e cuoco creativo, la ricerca gastronomica per lo chef di Mergozzo non ha mai fine. Oltre allo studio sulle zuppe, il suo obiettivo è ora impegnarsi nel dare internazionalità a piatti locali, certo senza snaturarne l’essenza: «Credo che questo sia il futuro - si sbilancia in conclusione lo chef -. Partendo da un prodotto locale stiamo cercando di capire come potrebbe guadagnarne utilizzando una nuova tecnica, un diverso tipo di abbinamento, un metodo di cottura o conservazione preso a prestito da altre culture gastronomiche; se penso a un luccioperca cucinato in stile thai, ecco che abbiamo sdoganato dai suoi confini un prodotto locale, pur mantenendone l’essenza del gusto».

Questa volontà di guardare a più ampi confini (anche perché buona parte della clientela arriva appositamente dall’estero, ad esempio dalla vicina Svizzera) si risente anche nello stile di presentazione del vino, non più nascosto in cantina, ma presentato in modo spettacolare in una cella di vetro climatizzata e completamente a vista, dove sono stoccate circa 20mila bottiglie di oltre 1.200 differenti etichette, di cui molte internazionali, ma con una importante presenza del miglior Piemonte vinicolo.

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