Lo chef Gert De Mangeleer ha rilevato dall’ex datore di lavoro, con il socio Joachim Boudens, Hertog Jan. Cambiando il destino di questa brasserie-winebar di Bruges
Semplicity is not simple, recita lo slogan dell’Hertog Jan, pluripremiato ristorante di Bruges. Ma dev’essere ancor più difficile, ai limiti del possibile, presentare in modo semplice la complessità di una cucina raffinata e sperimentale quando in soli 6 anni ti piovono addosso ben 3 stelle Michelin, tra il 2007 e il 2013.
Un successo folgorante che non si spiega solo con la qualità, decisamente alta, dei piatti di Gert De Mangeleer, lo chef di 35 anni, né con la bella carta dei vini curata dall’amico e socio Joachim Boudens, 32 anni. Come dire: condizioni necessarie, ma non sufficienti.
Nuova proprietà
Dietro la brillante carriera dell’Hertog Jan c’è in realtà un’organizzazione d’impresa più complessa, proprio come i piatti dello chef e del suo valido staff di 30 persone tra cucina, sala, fattoria e uffici. I sommelier sono due: uno è lo stesso Joachim, il secondo è Guido Francque, che oggi cura l’organizzazione complessiva. Anche la storia di questo signore over 50 è un tantino curiosa. Fino al 2005 era lui il proprietario della brasserie-winebar Hertog Jan (il Duca di Jan), mentre Gert e Joachim erano suoi dipendenti. Divenuti proprietari del locale i due giovani lo trasformano in un ristorante candidato al successo. E Francque si mette alle loro dipendenze. «Fin dall’inizio Joachim e Gert puntavano a raggiungere il massimo livello nel mondo dell’alta ristorazione - ricorda Francque -. Si sono dati degli obiettivi senza mai allontanarsene, interrogandosi ogni giorno e facendo lo stesso con il personale. Hanno costruito una squadra di lavoro molto coesa, dalla cucina al back office».
Questo gioco a ruoli invertiti, che mette a frutto anche l’esperienza manageriale di Francque, è stato di aiuto per un’impresa del gusto che valorizza il personale con frequenti riunioni, briefing e aggiornamenti; e che è proprietaria di 2,5 ettari di orto, coltivato con 650 varietà di vegetali: 60 solo di pomodori, 4 di carote, 8 varietà di fragole e così via. Due agricoltori a tempo pieno raccolgono il 95% delle verdure biologiche - in maggioranza a cielo aperto, qualcosa in serra - che Hertog Jan propone ai suoi clienti. Insomma, un ristorante sostanzialmente contadino, ma dall’aspetto raffinato e minimale, dentro una villetta alla periferia di Bruges con interni bianchi e grigi e per un terzo occupata da una grande cucina a vista dove tutto procede in modo ordinato e seriale.
Influenza fiamminga
Sarà che in Belgio la crisi non è ai livelli dell’Italia, sarà che il benessere è più distribuito, fatto sta che nonostante il conto salato da 200-300 € a persona il ristorante è sempre pieno. La cucina non delude le aspettative nei confronti di un 3 stelle. Si comincia con piccoli appetizer che sono un capolavoro di esecuzione e sapore: fili di patate croccanti, crema di melanzana affumicata, mizo (semi di soia) e fettina di funghi champignon; oppure meringhe di frutti della passione, crema di fegato d’oca e base di crostino di Coca Cola. E ancora: testa di maiale del Berkshire bollita, con crema di lenticchie e ravanello bianco, che è poi una rivisitazione di un piatto tradizionale fiammingo. Tra le portate principali trionfano le verdure dell’orto: uno dei piatti simbolo è l’indimenticabile Ortaggi, Rape, Erbe, un insieme di verdurine, tuberi e radici passati nel burro e cotti ognuno in modo mirato, da gustare separatamente, uno alla volta. Di grande effetto visivo, e sensoriale, anche i dolci curati personalmente da Nicolas Haghedooren, fra i quali gli Snickers, una combinazione di arachidi, caramello, cioccolato e pastiglie di agrumi congelate.
La carta dei vini è organizzata per tipologie e specializzata su Champagne, Riesling e Pinot Nero. La lista delle birre contempla una ventina di proposte solo belghe e artigianali. D’altro canto se Gert De Mangeleer è tra i massimi rappresentanti dei Flemish Primitives, il movimento della moderna cucina fiamminga (vedere box), il sommelier Joachim Boudens è Ambasciatore delle Birre del Belgio, birre usate anche in alcune pietanze. «Non è una grande carta dei vini, sono circa 200 - sottolinea Boudens - ma è curata nella scelta geografica e varietale, con particolare attenzione ai vitigni autoctoni di piccoli territori o aree regionali. Dall’Italia, ad esempio, Pigato ligure di Ronco del Gnemiz, Garganega di Pieropan, Trebbiano d’Abruzzo di Valentini, Fiano di Quintodecimo e altri». Una decina le mezze bottiglie, ma c’è flessibilità e tanti vini sono offerti al calice. Inoltre le portate alla carta o in degustazione si possono abbinare ad altrettanti vini suggeriti e consigliati, con menù enologici da 36 a 72 €. Grande attenzione anche al carrello dei formaggi con una cinquantina di proposte artigianali belghe, francesi, tedesche, italiane (con taleggio, gorgonzola, burrata di Andria e Castelmagno). E a fine pasto, dopo il conto, il tocco finale: la stampa su raffinata carta velina personalizzata di due piccoli menù, che riportano i piatti e i vini consumati dal cliente. A fine lista la data e la firma originale a penna dello chef: il ricordo di un’esperienza gastronomica importante.