Acqua, miscela di farine e criscito lavorati a mano da Pepe in Grani, laboratorio di ricerca che riesce a fare due turni anche nei giorni infrasettimanali
Professionalità e coraggio. Sono le qualità che ispirano Franco Pepe, vero e proprio artigiano della pizza che tratta il proprio impasto come una creatura, quasi un figlio.
Ed è proprio ai figli, quelli in carne e ossa (Stefano e Francesca), che Pepe ha pensato quando ha scelto di lasciare il porto sicuro della pizzeria di famiglia (l'Antica pizzeria Pepe), per aprire un altro locale, sempre a Caiazzo (Caserta), che ha battezzato Pepe in Grani, giocando con il proprio cognome.
«Lavoravo con i miei fratelli da 18 anni, poi l'anno scorso ho deciso di mettermi in gioco da solo», racconta. «Il nuovo locale l'ho aperto in piena crisi e tutti mi davano del pazzo. Mi dicevano, chi verrà in quel vicolo nascosto di Caiazzo?».
Eppure i numeri hanno dato ragione a Franco Pepe, che riesce a fare almeno due turni anche nei giorni infrasettimanali e il doppio nel weekend, con circa 92 coperti. «Vabbè, a parte ieri che pioveva e nessuno usciva di casa», scherza Pepe.
Un investimento da circa 350mila euro per un locale di proprietà, perché come denuncia il professionista è «meglio pagare il mutuo che l'affitto, visto che quando i proprietari di locali sentono che si vuole aprire una pizzeria alzano i prezzi».
Ospiti da tutto il mondo
È comunque soddisfatto, Pepe, perché nel nuovo locale è riuscito a realizzare il sogno di offrire a clienti e colleghi tre specialità: pizza, ospitalità e laboratorio di ricerca. «Non ho messo su una scuola, ma ospito continuamente chef e pizzaioli provenienti da tutto il mondo. Mi piace trasmettere la mia esperienza e soprattutto insegnare loro a utilizzare i sensi nella creazione dell'impasto».
Quest'ultimo è infatti per Pepe «la mia creatura», e tira fuori il tablet e ci fa vedere un video in cui mostra come lo lavora, rigorosamente a mano. Lo rimesta, lo accarezza, lo annusa, lo sente con i polpastrelli per capire se la consistenza è quella giusta. Serve olio di gomito per impastare nella madia di legno dalla foggia antica. No alle macchine, l'unica forza propulsiva che utilizza Pepe sono le sue braccia.
Secondo lui non esiste una ricetta universale della pizza: «Non è che si mettono sempre gli stessi quantitativi nell'impastatrice e il risultato riesce uguale al giorno precedente». Dipende dalla farina, dall'umidità, dall'acqua, dall'umore del pizzaiolo.
«Bisogna garantire al cliente uno standard, ma per questo bisogna adattare il prodotto giorno dopo giorno». Gli unici strumenti di alta tecnologia che il pizzaziolo si concede sono i laser per la temperatura.
Miscele di farine studiate e calibrate
Fondamentale specialmente per il forno, che normalmente viaggia sui 400 gradi, ma che viene modulato anche in base al tipo di pizza che deve cucinare in quel momento. «Non tutte le pizze hanno bisogno della stessa temperatura». E il risultato da Pepe in Grani è una pizza napoletana alta, eppure leggerissima e digeribile.
Acqua, farina e lievito di riporto (detto anche “criscito” o pasta vecchia, in sostanza una porzione di impasto realizzato in precedenza e tenuto da parte, che abbia subito già qualche ora di lievitazione) e una lievitazione dalle 12 alle 14 ore.
Quando si chiede a Pepe quale farina utilizza lui parla di miscela. Stupisce, raccontando di utilizzare sia la doppio zero che la zero (normalmente si usa solo la seconda per gli impasti salati), ma non vuole rivelare né il nome né l'ubicazione del suo mugnaio.
«Ho perfino rifiutato una ricca proposta di partnership, perché non voglio legare il mio nome a quello di un mulino. In questo modo mi sento libero di cambiare alla prima volta che la farina mi delude».
Per ora, rivela solamente di lavorare con un piccolissimo mulino non della sua zona, ma fuori dalla Campania. E il suo mix di farine non è preparato in modo empirico perché, spiega giustamente orgoglioso: «Interagisco quotidianamente con il tecnico per definire la miscela».