La Bottega del buon caffè: un nome, che trae origine dai suoi lontani trascorsi come bar e torrefazione, forse fuorviante per un ristorante, ma che ha evidentemente portato, visti i risultati, grande fortuna. Trasformato prima in gastronomia, poi in bistrot e infine in ristorante, è riuscito con gli anni a spiccare il volo e a diventare una tappa importante nel circuito gastronomico fiorentino. Oggi, grazie all’arrivo della prima stella e al cambio di sede, è uno dei posti più ricercati e ambiti di Firenze.
Antonello Sardi è la dimostrazione di come la cucina sia, proprio come l’arte, un dono di natura. Si definisce autodidatta e in effetti alle sue spalle non si possono certo annoverare esperienze al fianco di pluristellati. Però impegno sì e tanto, e anche un immenso talento. «Mi avvicinai ai fornelli, per spirito di sopravvivenza, a ventiquattro anni quando andai a vivere da solo, e fu colpo di fulmine - spiega Sardi. - Decisi che mi sarei impegnato per diventare chef e cominciai così la gavetta come lavapiatti, entrando però al lavoro sempre prima e uscendo dopo, per osservare ciò che succedeva intorno a me e farne tesoro». Da allora sono passati meno di dieci anni, un’ascesa veloce che lo ha catapultato nel regno degli astri. Merito anche di una proprietà, quella de Il buon caffè, che punta in alto e che non è abituata a lasciare niente al caso: la famiglia Thottrup, già proprietaria del Relais Borgo Santo Pietro nella campagna senese, ha acquistato il locale nel gennaio 2014, con la volontà di farlo diventare uno dei ristoranti cult della città. La cucina, dove allora Antonello rivestiva il ruolo di secondo chef, era già molto apprezzata anche se mancavano all’appello una location e un servizio degni dei grandi gourmet. Detto fatto! Con la famiglia Thottrup è stato attuato un impegnativo restyling, prima nel servizio e nell’ambiente, quindi in ogni minimo dettaglio.
La nuova location, inaugurata il 3 dicembre scorso, contempla sia il ristorante sia il wine bar. L’arredamento, mix di antico e contemporaneo, proveniente da tutto il mondo, è merito di Jeanette Thottrup, architetto di fama internazionale che ha ripreso lo stile e i colori del Relais, sottolineando la volontà di mantenere una stessa linea e un medesimo livello qualitativo. Anche nella carta dei vini si osserva la ricerca certosina di singolarità ed estetica: è in pelle rilegata a mano da un famoso artigiano fiorentino, uno scrigno che raccoglie oltre 700 etichette tra cui spiccano vecchie e rare annate. Bellissima, poi, la cucina a vista. «All’inizio ero intimorito dall’idea di lavorare davanti a tutti - racconta Antonello. - Adesso trovo soltanto lati positivi: puoi vedere i clienti, la soddisfazione nei loro volti mentre assaggiano i piatti e in più sei portato a una maggiore cura dell’ambiente, sia da un punto di vista organizzativo che di pulizia».
Le preferenze di Antonello? Stagionalità, freschezza e territorialità. «Abbiamo un fornitore di carne e uno di pesce, di cui ci fidiamo ciecamente e che non sostituiamo neanche in mancanza di prodotto. Se un giorno non c’è la spigola, ad esempio, perché non è stata pescata, preferiamo spiegare la cosa al cliente piuttosto che rifornirci da altri. Invece, per quanto riguarda le verdure, ho la fortuna di avere un orto privato a Borgo Santo Pietro».
Caratteristica rara nelle cucine stellate è la preferenza verso porzioni non certo esigue: «Per esempio - conclude Sardi - a persona calcolo 100 g di pasta, 150 g di carne e, nel caso del baccalà, 170 g. Trovo che porzioni degne di chiamarsi tali siano molto più gradite dalla clientela, che è ancora più invogliata a tornare da noi».