Il delivery cambia le linee di produzione

Delivery, cucina
I centri di cottura e la crescita del delivery impongono la riorganizzazione degli spazi in cucina e l’adozione di sistemi di cottura flessibili e attrezzature di nuova generazione

La ristorazione sta cambiando profondamente. E il principale motivo della trasformazione non è tanto la nascita di nuovi trend oppure la globalizzazione dei gusti o, ancora, la sempre maggiore importanza mediatica della cucina dei grandi chef. «Invece è il delivery il fenomeno del momento, e non con un impatto superficiale o episodico, ma profondamente sistemico», spiega Carlo Meo, esperto di comportamenti di acquisto e di nuovi concept per il retail, docente di Design Experience al Poli.Design del Politecnico di Milano. «La consegna a domicilio, come la chiamavamo una volta, si sta rivelando oggi un cambiamento epocale innanzi tutto nei consumi, perché porta la cucina del ristorante dentro la casa di tutti, entrando di fatto in concorrenza soprattutto con i luoghi della spesa, come il supermercato. Grazie al delivery possiamo immaginari scenari estremi di consumo in cui, a casa nostra, non accendiamo nemmeno più forno o fornelli o non compriamo più il cibo».

In casa si cucina meno

Uno scenario confermato, per certi versi, dal fatto che negli ultimi 25 anni la percentuale di spesa nei Paesi occidentali si è più che dimezzata, come osserva nel suo libro “Progettare la ristorazione professionale - Logiche, spazi, requisiti” (Tecniche Nuove, 370 pp, € 59,90), Antonio Montanari, architetto e docente di Sistemi e tecnologie della ristorazione all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Scrive Montanari: “Attualmente in Gran Bretagna si  spende per l’alimentazione solo il 9,1% della cifra mensile complessiva; in Canada il 9,6%, in Australia il 10,2%, in Germania il 10,9%, negli Usa l’11%, in Francia il 13,2%, in Italia il 14,2%. Anche nei Paesi asiatici le percentuali sono simili: in Corea la spesa mensile per il cibo è del 12,2% sul totale, in Giappone del 13,8%”. A tutto questo corrisponde anche, rileva Montanari, “il successo delle scuole di cucina a fronte di una minore propensione a cucinare, soprattutto da parte delle giovani generazioni”.

Ci troviamo, insomma, in una situazione in cui il pubblico, il consumatore, è sempre più ricco di nozioni e di conoscenze sul cibo e sugli alimenti di tutto il mondo, sulle tecniche di cottura, sui sapori e sugli abbinamenti ma, in sostanza, sta perdendo il contatto con la materia prima, non la acquista più e non la cucina. Tutto questo, come vedremo, ha importanti ripercussioni sulla ristorazione professionale, che non soltanto viene chiamata a rispondere ai nuovi bisogni del consumatore ma, ora come mai in passato, è costretta a ripensare la propria organizzazione degli spazi e la scelta delle attrezzature.

Nuove logiche con il delivery

«Dalle nostre osservazioni sul mercato - osserva Carlo Meo - notiamo che, in Italia, i luoghi della trasformazione della ristorazione sono soprattutto le città metropolitane, come Milano e Roma, proprio quelle dove il fenomeno del delivery sta riscuotendo il maggior successo. Al punto che abbiamo visto come alcuni format di ristorazione ormai possano contare sul cibo consumato fuori dalle propria mura anche per il 35%-40% del fatturato». Questo spostamento del ristorante all’esterno dei propri confini fisici ha ripercussioni che vanno valutate con molta attenzione.
«Vediamo per esempio - dice Meo, - che alcuni ristoranti si propongono sul canale del delivery in modo completamente diverso rispetto alla loro sala e insegna su strada. Adottano un menu ad-hoc, semplificato per la vendita online, addirittura creando brand completamente diversi, e proponendosi quindi sui vari canali come JustEat, Deliveroo, Glovo, UberEats e via dicendo con un nome differente. Un’opzione di questo tipo, a livello organizzativo, significa utilizzare la cucina del ristorante sia per servire il pubblico al tavolo sia come laboratorio per servire il delivery, ponendo quindi il problema di come organizzare linee di produzione diverse». Uber Eats ha addirittura individuato, in questa opzione, un canale di business da sfruttare direttamente. Il gruppo ha in programma, in Regno Unito, di creare 400 ristoranti “virtuali”, insegne che non sono connesse a un ristorante esistente, ma “vivono” soltanto sulla app per le prenotazioni, proponendo un menu con opzioni limitate. Un esempio è il concept Sushi Circle, che propone soltanto Pokè. Per la produzione Uber Eats si affida a cucine di ristoranti esistenti ma sottoutilizzate. Anche Deliveroo sta adottando la stessa strategia.
Portando all’estremo questa strategia American Express, la società di carte di credito, ha finanziato l’apertura in Finlandia, a Helsinki, di un ristorante nel pieno centro della capitale, Take In, senza cucina e basato tutto sul delivery: una sorta di lounge accogliente in cui ci si può sedere e ordinare il cibo preferito con una app di delivery. Il locale offre solo posate, tovaglioli e piatti su richiesta.

Linee di produzione innovative

Non solo. L’affollamento dei “riders”, se eccessivo può non soltanto essere di disturbo per la clientela, ma anche intralciare il lavoro del personale in sala. «Alla luce di questo problema - sottolinea Meo - oggi nascono ristoranti organizzati con due linee di uscita per la cucina, una verso la sala e una verso un punto di consegna per i riders affacciato sulla strada ma in una posizione diversa rispetto all’entrata del locale».

Ma attenzione anche alle novità eccessive. «Va bene innovare - dice Meo - ma alla fine l’Italia resta un mercato abbastanza “conservatore” sul fronte della ristorazione, dove continua ad avere successo il locale di impronta familiare. Le catene da noi attecchiscono poco. Piuttosto mostrano di avere successo locali con lo stesso marchio che declinano uno stesso tipo di cucina, per esempio di pesce o griffata da uno chef, su diversi profili di clientela, dal ristorante elegante al bistrot per arrivare fino allo street food.
Questo consente, per esempio, di basare la produzione su un centro di preparazione e cottura centralizzato e poi di trasportare le “basi” ai vari locali satellite che hanno il solo compito di finirli e servirli.       

Che cosa comporta, più nel profondo, la trasformazione in atto, soprattutto nella direzione del delivery, rispetto alla progettazione e organizzazione della cucina? Innanzi tutto richiede lo sfruttamento ottimale degli spazi per realizzare linee di produzione separate, con personale dedicato e con percorsi che evitino sovrapposizioni. L’adozione di strumenti di cottura programmabili e controllabili da remoto consente poi di sfruttare le ore di chiusura per preparare semilavorati da finire velocemente quando giunge l’ordine online, in modo da ridurre il più possibile i tempi di consegna. Cresce infine il volume occupato dalle celle frigorifere e dagli abbattitori, perché per soddisfare le esigenze del delivery è opportuno affidarsi alle tecniche del cook & chill, del legame refrigerato, che comporta cottura, abbattimento positivo e conservazione in  cella frigorifera, e del sottovuoto.

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