Le regole per la deduzione delle spese dal reddito d’impresa sono molto dettagliate. Il principio generale è che sono sicuramente e interamente deducibili tutte le spese strumentali all’attività d’impresa e regolarmente documentate. Le spese a uso promiscuo, personale e d’impresa) seguono regole proprie.
Tra tutte le voci di spesa, il costo dei beni venduti (insieme alle relative rimanenze) è quella di gran lunga principale (oltre al personale): riguarda i beni direttamente correlati alle vendite o alle prestazioni di servizi quali il costo dei materiali acquistati per i servizi di ristorazione (alimenti, bevande, tovaglioli usa e getta e simili) e materiali di consumo per la preparazione dei piatti da servire.
Il costo del venduto è calcolato con la seguente formula:
acquisti + (o –) variazioni delle rimanenze;
queste ultime sono il risultato di:
rimanenze iniziali – rimanenze finali.
Mettendo insieme le due formule si ottiene la formula più completa:
Costo del venduto=Acquisti+Rimanenze iniziali–Rimanenze finali
Le rimanenze costituiscono costi non consumati che genereranno ricavi futuri tramite la vendita (di prodotti finiti e merci) o tramite i cicli produttivi futuri (materie prime, semilavorati, prodotti e servizi in corso di lavorazione). Il costo storico è considerato al netto di resi, sconti e abbuoni, e comprende, oltre al costo del bene, anche gli oneri accessori di diretta imputazione sostenuti per la stipula del contratto di acquisto e per portare i beni nel luogo e nello stato in cui si trovano (spese di trasporto, imballo, assicurazione, confezionamento e simili; eventuali oneri fiscali e doganali).
Alcuni beni si definiscono “fungibili”, ossia tra loro intercambiabili. La definizione ha rilevanza se si effettuano più acquisti di tali beni nei vari periodi. Se le rimanenze sono costituite da beni fungibili, come i prodotti di largo uso (sale, zucchero, latte, olio, bevande che abbiano sempre la stessa qualità e marca, ecc.) si possono registrare costi d’acquisto diversi da periodo a periodo per lo stesso tipo di beni.
Quale di questi costi considerare per la valutazione delle rimanenze?
Il codice civile (art. 2426 numero 10) lascia ampia libertà, considerando come primo metodo quello della media ponderata degli acquisti dell’esercizio e lasciando la possibilità di valutare secondo metodi diversi, come Fifo e Lifo. Ecco come funzionano i diversi metodi:
1. Costo medio ponderato. Le quantità acquistate o prodotte sono valutate secondo la media ponderata annua dei costi di acquisto o di produzione. La formula è: somma dei costi diviso somma delle quantità acquistate o prodotte.
2. Fifo (first-in, first-out, primo entrato, primo uscito). Vengono considerate uscite le quantità acquistate o prodotte in epoca più lontana, le rimanenze vengono quindi valutate ai costi più recenti.
3. Lifo (last-in, first-out, ultimo entrato, primo uscito). Al contrario del precedente, si considerano uscite le quantità acquistate o prodotte per ultime, le rimanenze vengono quindi valutate con i costi più lontani.
4. Lifo a scatti annuali fiscale (previsto dall’articolo 92 del Tuir), combinazione del costo medio ponderato e del Lifo, in quanto si applica il Lifo non calcolando però i singoli acquisti ma la media ponderata di ogni anno. Funziona così: nel primo esercizio di formazione delle rimanenze le stesse sono valutate secondo la media ponderata dell’esercizio. Successivamente, se le quantità sono minori o uguali, si valuta al costo unitario indicato nell’esercizio precedente. Se invece sono superiori, l’incremento viene valutato al costo medio ponderato dell’esercizio. Per un unico bene si potrebbero formare delle stratificazioni di vari costi formatisi nei vari esercizi.
Il costo, infine, si definisce specifico se si ha la precisa identificazione del singolo bene in giacenza con il relativo costo d’acquisto. Si adotta per beni non fungibili o per beni fungibili di rilevante valore con identificazione precisa (es: una grossa partita di carne o di vini).