Con l’Erbamat, vitigno bresciano, il Franciacorta si fa più autoctono

Dal 2017 questa varietà è permessa nell'uvaggio della Docg. Le sperimentazioni di Castello Bonomi

Territorializzare. In pratica dare una connotazione più tipica a un prodotto. È questa la volontà che ha spinto le cantine della Franciacorta a discutere attorno all’Erbamat, vitigno bianco presente nella viticoltura di queste zone in secoli remoti e poi via via abbandonato a favore di Chardonnay, Pinot nero e Pinot Bianco, uve regine nella produzione degli spumanti metodo classico in tutto il mondo e, in questo spicchio di Lombardia, della nota Docg.

Ma ha senso rimettere in discussione un vino ormai conosciuto e apprezzato a livello planetario per scommettere su una variazione produttiva che potrebbe, nella migliore delle ipotesi, non essere colta dal cliente e, nella peggiore, non essere apprezzata? Secondo i sostenitori di questa variazione sì, ha senso. E, per qualcuno, avrebbe senso anche andare oltre quel 10% di Erbamat consentito come massima presenza nel Franciacorta che nel 2017 il Consorzio ha autorizzato. Il perché è presto detto. Da una parte dare una ancora maggiore connotazione territoriale al vino permetterebbe di distinguerlo dalla massa e venderlo meglio. Dall’altra la ricerca e la selezione di vitigni autoctoni è una delle armi che consentiranno in futuro di mitigare gli effetti di un clima sempre più imprevedibile.

Chi dimostra di credere particolarmente a questo vitigno è Castello Bonomi che ormai dal 2011 sta conducendo sperimentazioni e microvinificazioni sull’Erbamat.
In attesa di trovare l’Erbamat nelle bottiglie di Franciacorta, Castello Bonomi ha dato vita (grazie a un team formato dal professore Luigi Valenti della Facolta di Scienze Agrarie dell’Università di Milano e dagli di Castello Bonomi enologi Luigi Bersini e Alessandro Perletti) alla Cuvée 1564, ovviamente un Vsq e non una Docg. La cuvée nasce da un uvaggio composto da 40% Erbamat, 30% Pinot nero e 30% Chardonnay, combinazione che coniuga l’acidità dell’Erbamat, la struttura del Pinot Nero e l’eleganza dello Chardonnay. Ha bel colore giallo paglierino acceso con riflessi verdognoli, e al naso mette in evidenza note di fiori freschi, agrumi e frutta tropicale. Un bel prodotto che convince appieno.

Di proprietà della Famiglia Paladin (tenute in Toscana - Fattoria Castelvecchi - e Veneto e Friuli - Vini Paladin, Bosco del Merlo), Castello Bonomi oggi ha una produzione annua di circa 150mila bottiglie: 100mila di Franciacorta Docg (CruPerdu, Satèn, Rosé, Millesimato, Cuvée Lucrezia e Lucrezia Etichetta Nera, Cuvée del Laureato) e la restante parte divisa tra i fermi Curtefranca: Solicano, Conte Foscari e Cordelio.

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