Dalle birre artigianali un’alternativa piena di gusto

Il rapporto tra birra e cucina è controverso. Ritenuta perfetta per pizze e grigliate, fatica a ritagliarsi un posto a tavola quando si parla di cucina tradizionale o creativa. Tuttavia le potenzialità ci sono, come raccontano, e suggeriscono, Lorenzo Dabove e quattro esponenti di spicco della ristorazione italiana

Secondo le ultime stime di Osservatorio Birra, la filiera brassicola italiana vale circa 10 miliardi di euro e impiega oltre centomila persone.

Sono numeri di una certa rilevanza e denotano il ruolo centrale della birra nel panorama enogastronomico nazionale, ma a fronte di questi dati ben minore è il riscontro che le birre hanno sulle tavole dell’alta ristorazione.

Secondo alcuni dati recenti poi (fonte weloveholidays.com), l'Italia è “solo” all'11° posto tra i paesi europei da visitare per bere birra e questo nonostante  i 1.326 birrifici e una produzione annua di quasi 18 miliardi di litri. Lorenzo “Kuaska” Dabove, autore tra i massimi esperti di birra al mondo, però crede solo fino a un certo punto a questa apparente tendenza.

Birre richieste e conosciute

«Ma quale undicesimo posto? Io vedo e so - dice Dabove - quale alta reputazione e conseguente attrazione abbiano le nostre birre per gli appassionati stranieri. Siamo incontestabilmente tra i leader protagonisti della cosiddetta craft beer revolution che si sta espandendo in tutta Europa e negli altri continenti, nessuno escluso. Tutti ci riconoscono di aver iniziato tale rivoluzione, seguendo intelligentemente il grande esempio degli americani. Esportiamo birre artigianali dappertutto, anche in Paesi di antica tradizione, e le nostre birre sono molto richieste e sempre più conosciute».

Per quale motivo, allora, la birra fatica a inserirsi nei menu degustazione, o più in generale nel consumo al ristorante, soprattutto in quelli di alto profilo? E pensare che le birre artigianali (o “indipendenti” come preferisce definirle Dabove), avrebbero a proprio favore degli elementi di estrema ricchezza: «Prima di tutto per gli aromi e i sapori delle nostre birre così ricchi e complessi. Poi per il loro eclettismo e la varietà, due fattori che permettono di usarle in cucina e abbinarle a qualsiasi ingrediente.

Infine, non meno importante, la bellezza delle nostre eleganti bottiglie da 75 cl, testimonial del rinomato design italiano, perfette per le tavole stellate».

Divulgare la cultura della birra

È però l’intero panorama dell’ospitalità italiana che dovrebbe contribuire, con una sterzata decisa, alla corretta percezione di un prodotto dalle mille sfumature: «I nostri artigiani devono saper divulgare la cultura che sta alla base del loro lavoro - prosegue Dabove - e i ristoratori aprirsi a questa cultura aggiornandosi e interagendo con i birrai. Spero, quindi, che la tendenza si possa invertire e che sempre più chef si rendano conto delle armi che, oggi ancor di più, hanno a disposizione».

Serve una comunicazione corretta

Molto dovrebbe arrivare anche dalla comunicazione in senso stretto: «Vediamo in tv, nel web e sulla carta stampata chef ed anchormen che pubblicizzano cibi e bevande, birre incluse, delle multinazionali. Ci bombardano con messaggi votati alla genuinità, al biologico e si mostrano mentre vanno al mercato a scegliere gli ingredienti di stagione e a filiera corta e poi magnificano prodotti industriali? Spacciare un pesto alla genovese con gli anacardi al posto dei pinoli non è diverso dall’esaltare l’italianità di birre in mano da decenni ad aziende straniere. Una corretta comunicazione incentrata sull’indipendenza che permetta al birraio di impiegare ingredienti di qualità e di rispettare i tempi del processo produttivo è un fattore decisivo. Solo così i ristoratori possono finalmente inserire le birre, cucinare e abbinarle ai loro piatti tradizionali, ma anche crearne di nuovi».

Sfaccettature della birra

Se i percorsi di degustazione sono quasi cristallizzati con il vino come bevanda di abbinamento imprescindibile, le sfaccettature della birra di qualità potrebbero regalare altrettante soddisfazioni, se non addirittura maggiori: «Le birre non hanno difficoltà nell’incontrare le note di qualsiasi cibo - sostiene Dabove - sono semmai i vini a essere impossibili da impiegare con molti ingredienti come, per fare qualche esempio, sottaceti, finocchi, carciofi, gelati ecc. Le nostre birre così diverse, dalle personali interpretazioni di stili classici fino a prodotti legati all’inestimabile e imbattibile biodiversità italiana, possono sposare per affinità o per contrasto qualsiasi piatto sfruttando anche le loro “proprietà fisiche”, che aiutano a pulire la lingua dai fritti e dai grassi».

Sapori e aromi

Dolci, amare, speziate, acidule, affumicate: qualsiasi birra di qualità può trovare un piatto compatibile, grazie alla creatività degli chef o rimanendo nel campo degli abbinamenti più classici e consolidati: «La cosiddetta cuisine à la bière, tipica di quel paradiso birrario che è il Belgio, sarebbe praticabile anche da noi. Si potrebbe lavorare con antipasti come del foie gras, che nell’impasto utilizzi una rinomata trappista scura come la  Westvleteren Acht, o con dei gamberetti di Ostenda marinati e poi cotti nella

St Bernardus Wit. Per il piatto principale, dal Pajottenland, la tradizionale “faraona alla kriek” (alla griotta), un cultivar locale di ciliegia acida per cui sceglierei la Lou Pepe Kriek di Cantillon; mentre per gli amanti del pesce oserei un bel piatto grasso come le Anguille al verde cotte lentamente e poi abbinate con una Rossa di Fiandra come, per esempio, la Rodenbach Grand Cru». Ce n’è di ogni, insomma, e per qualsiasi profondità sensoriale. Anche, per esempio, nell’abbinamento con un dessert che Dabove suggerisce tra mousse al cioccolato e Rochefort 8. Possibile non si riesca a fare di più, nei ristoranti italiani?

Le interviste

1Lorenzo Moraldo

Sommelier, Balzi Rossi, Ventimiglia (Im)

«Il sommelier ha il compito di valorizzare i piccoli produttori del territorio, che realizzano birre particolari e di qualità, che non si trovano facilmente. Noi abbiamo la Montefollia, una Saison con foglie d’ulivo del Birrificio Nadir di Sanremo (Im), e la F.B.I. Beer prodotta a Castelvittorio (Im), con fagioli bianchi di Pigna presidio Slow Food. Le propongo entrambe, in alternanza, con la rivisitazione dello chef Enrico Marmo della Sardenaira, una tipica pizza ligure con pomodoro, acciughe, olive, capperi e aglio. In generale, per via del luppolo, la birra ha una parte amaricante che non è facile da abbinare con un piatto. Dall’altro lato, questo può anche tradursi in un vantaggio, in una caratteristica unica, raramente presente in un vino. Se servi la birra, esci dagli schemi: di conseguenza, il pairing dev’essere perfetto. Ogni birra ha il suo abbinamento migliore. Una birra ambrata, quindi più scura, sarà più dolciastra e si potrà abbinare a una carne, una blanche belga, che ha un gusto quasi citrico, può essere proposta col pesce. In ogni caso, il percepito della birra, è che questa sia un prodotto meno legato al territorio rispetto a vino e, a volte, questa mancanza, peraltro non vera, rappresenta un problema nell’alta ristorazione».

 

2Giovanna Danzo

Maître, Osteria degli Assonica, Sorisole (Bg)

«Nell’abbinamento viene spesso ricercato un equilibrio, un senso di morbidezza e piacevolezza che il lato amaricante della birra non concede. A pochi patti è permesso questo accostamento fresco e tagliente. Nello specifico, la nostra cucina si fonda su due elementi: acido e amaro, questa caratteristica rende molto difficile l’abbinamento con la birra se non per concordanza. Ma è vero che abbiamo a disposizione una gamma di prodotti molto ampia tra cui scegliere che ci permette di trovare il pairing sorprendente, e ne usiamo anche in cucina: la birra scura è sicuramente la tipologia che per merito della sua tostatura, persistenza e complessità rimane invariata anche all’interno del piatto. La nostra piccola pasticceria comprende, per esempio, la Tartelletta, birra stout e fava tonka, per cui teniamo che venga mantenuta la sua tipica nota amaricante come chiusura al palato. La birra in carta? Come per il mondo del vino, quello della birra è così ampio e diversificato che necessita di attenzione e specializzazione. Lo studio della birra richiede una passione che porti il professionista ad arricchire la sua conoscenza e quella del cliente, raccontando le varie tipologie, la storicità e la giusta tecnica di servizio tra temperatura, scelta del bicchiere e spillatura».

3Alfredo Buonanno

Foto Alberto Blasetti

Sommelier, Krésios, Telese (Bn)

«In merito alla cultura del prodotto, ci sono artigiani illuminati che lavorano a referenze di eccellenza anche con le birre e che cercano di comunicare il valore del proprio operato: quando riescono a trasmettere le proprie idee e il proprio lavoro ai ristoratori riescono a trovare il giusto spazio in carta e la giusta comunicazione del sommelier al cliente. Ad esempio, la tipologia Sour, birre molto acide, potrebbe benissimo rientrare in abbinamenti in un fine dining. Stesso discorso anche per Lambic, Gose o Framboise: noi utilizzavamo una birra Stout di un piccolissimo birrificio inglese in un cocktail con delle gocce di liquore Strega, abbinato a un dessert di gelato al tabacco, molto pungente e astringente: un gioco molto piacevole e che piace alla clientela. Detto questo è vero che non tutte le birre sono adatte a certi ristoranti. Senza contare che oggi  si studiano abbinamenti ancora più innovativi: al Krèsios, per esempio, stiamo studiando abbinamenti anche con succhi, fermentati, infusi e kombucha. Ecco, se proprio c’è un lavoro da fare sulle carte dei vini, è quello di lavorare coi i piccoli vigneron, piuttosto che aprirle in modo magari eccessivo e indiscriminato al mondo della birra. Aver un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, senza una vera linea guida, andrebbe a penalizzare entrambi».

4Giuseppe Mancino

Chef, Il Piccolo Principe, Viareggio (Lu)

«Non ritengo esistano sostanziali difficoltà nell’abbinare una birra a un piatto della tradizione o innovativo. Anche perché la cucina italiana offre una scelta di alimenti e ingredienti talmente varia da permettere sperimentazioni e confronti praticamente infiniti. Tra le diverse tipologie penso che, per esempio, le birre di buona acidità abbiano uno spettro ampissimo quando si parla di abbinamento. In cucina, inoltre, si può usare la birra per marinare o stufare, nella pastella per un fritto più leggero e croccante, nei lievitati e persino nei dolci. Rappresenta sicuramente un ingrediente versatile sotto molti punti di vista. Il rapporto tra ristoratori italiani e birra? È sicuramente controverso. La percezione, peraltro sbagliata, rimane ancorata alla birra come bevanda meno valida del vino. E spesso siamo proprio noi operatori, portatori della cultura gastronomica del nostro Paese, a disdegnare bionde, ambrate e brune che invece non solo portano convivialità, ma sono anche opportunità che si prestano ad interessanti e gustosi abbinamenti. In generale credo che manchino cultura e informazione. La birra di qualità, magari artigianale, si conosce poco e per stereotipi».

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