Negli anni Ottanta furono le spaghetterie. Negli anni Novanta arrivò Pastarito. All’estero, ancora oggi, funzionano insegne che della pasta avevano fatto la portata principe (salvo poi correggere il tiro come ci spiega Carlo Meo nel suo intervento in queste pagine). Di quelle insegne oggi rimane la memoria e i motivi per cui chiusero. Qualità insufficiente, bassi prezzi, ambienti spartani, menu troppo limitati o incapaci di fidelizzare il cliente. Insomma, la pasta non sembrava essere in grado di reggere il ruolo di protagonista e di principale traino al business del ristorante. Tuttavia oggi qualcosa sembra cambiato. E, forse consapevoli degli errori compiuti, nuovi imprenditori stanno mettendo a punto format dove la pasta è grande protagonista e star principale capace di attirare pubblico e generare fatturato.
I locali che funzionano
Tra i fenomeni imprenditoriali da studiare oggi troviamo Miscusi, da zero a 4,5 milioni di euro di fatturato in meno di due anni di vita. Cinque locali a Milano, uno a Torino e un programma che punta all’espansione. Perché funziona? «Atmosfera familiare, informale, energica e positiva. Le persone si sentono a casa, condividono piatti e spazi, parlano, ascoltano la playlist in sottofondo. La qualità, la velocità del servizio, la possibilità di aggiungere un tocco personale al piatto si uniscono all’atmosfera in una combinazione vincente», parola dei fondatori di Miscusi, Alberto Cartasegna e Filippo Mottolese, trentenni, laurea in economia con il pallino della ristorazione. In menu solo (o quasi) pasta prodotta in proprio, condimenti di alto livello e possibilità di personalizzare il piatto con salse e ingredienti vari. Il pubblico apprezza e i programmi di espansione proseguono.
Continua anche la crescita di Ca’ Pelletti, insegna nata grazie a Surgital, azienda romagnola che della pasta fresca surgelata e di alta qualità è l’emblema. E così, alla prima locanda aperta a fine dicembre 2012 ne sono seguite altre due. E dopo Bologna e Milano adesso è in arrivo la quarta, a Padova. Il format è quello della locanda di Romagna dove al centro di tutto troviamo i primi piatti, ma attorno ai quali ruota un ricco menu. «Con apertura sette giorni su sette, un orario che va dalle 7,30 alle 23,30 e con la cucina sempre aperta - dice Elena Bacchini, amministratore unico Ca’ Pelletti - il menu ampio serve per soddisfare ogni possibile richiesta in ogni occasione di consumo della giornata. La pasta è il punto focale, ma la proposta spazia dalle prime colazioni, alle piadine, ai secondi di carne, di uova e alle insalatone». In menu i grandi classici della cucina romagnola e non solo (lasagne, tortellini in brodo, tagliatelle al ragù) ma anche i Bartlaz e i Rondlaz, ravioli della tradizione cotti alla piastra. Punti forti del format: ambienti curati, accoglienza da parte del personale, servizio al tavolo, qualità dell’offerta.
Tanti poi i ristoratori che stanno nobilitando questa portata. A Roma per esempio l’ex stellato Luciano Monosillo punta sulla sua carbonara per fidelizzare i clienti. Considerato il vero re di questo piatto Luciano serve, in ogni portata, qualità estrema. La pasta è sì solo una parte del menu, ma da Monosillo si va per quello. Come da Roscioli, sempre a Roma, si va per comprare il kit per la matriciana da fare a casa.
Non solo formati nazionali
Non ce ne vogliano i puristi, ma parlando di pasta non si possono ignorare gyoza, dim sum, ramen, lamian e compagnia. Tanto più che uno dei fenomeni ristorativi milanesi più interessanti degli ultimi anni è rappresentato dalla ravioleria Sarpi. Ravioli sì cinesi, ma realizzati con materie prime di alta qualità e made in Italy. Il locale, piccolissimo, fa solo asporto e ha saputo conquistare i milanesi grazie alla “trasparenza” (i ravioli vengono preparati a vista e le materie prime utilizzate sono descritte in vetrina) e ovviamente al gusto. Il risultato? Code di clienti in attesa dei loro ravioli durante i giorni feriali e code lunghissime durante il week end.
Altro esempio di iperspecializzazione, ma anche di spettacolarizzazione della portata, viene da Ramen a mano, altro locale milanese. I ramen, o meglio i Lanzhou Lamian, vengono preparati in vetrina (letteralmente) da uno chef che stira a mano l’impasto fino a ottenere lo spessore desiderato e vengono serviti in un unico e solo tipo di brodo (a base di spezie, carne e coriandolo). È il formato dei lamian a fare il menu. Il cliente può infatti scegliere se assaggiare lamian stirato 5, 6, 7 o 8 volte, tagliatelle (5 e 6 stirate), spaghetti a forma di foglia (6 stirate), a forma irregolare e con bordi piatti (5 stirate).
Fusion creativa
Hanno invece scelto la via “fusion creativa” Giulio Podestà e Alessandro Cattaneo (chef con esperienze da Extebarri e Uliassi) partiti nel 2015 con un piccolo truck itinerante e accasati poi in centro a Milano nel loro Zibo, cuochi itineranti, dove i i protagonisti sono i ravioli che spesso mutuano ricette di riso o di pasta per la creazione dei ripieni. Ravioli dunque, ma anche gyoza “italo-giapponesi” (un must quelli alla milanese ripieni di ossobuco con salsa di zafferano e midollo). E poi ecco i ravioli pasta e fagioli (fagioli e lardo sono il ripieno), all’amatriciana, alla carbonara.
E i franchisee? Hanno capito il trend e insegne come PastaSìa, 120 grammi, Primopiatto italiano, puntano su formule di servizio precise (asporto e fast food) e su portate di qualità. La pasta è spesso Gragnano Igp e i condimenti sono top.
Insomma, volete puntare sulla pasta? Allora segnatevi queste quattro parole chiave e fatevi una domanda. Fresca, ripiena, esotica o fusion?