Raccontare al cliente, i piatti, se stessi, la propria filosofia di cucina, il locale, gli altri clienti. Questo è lo storytelling di cui tanto si parla in termini spesso entusiastistici. E a buona ragione, perché contribuisce a migliorare l’esperienza del cliente e ne favorisce la fidelizzazione.
Cosa fa lo storytellig?
Lo storytelling comunica l’identità del ristorante e contemporaneamente la rafforza rendendolo unico. Suscita emozioni positive nel cliente contribuendo alla creazione di un rapporto umano che molto spesso finisce col somigliare all’amicizia. E un amico, si sa, si torna a trovare volentieri.
Chi fa storytelling?
A fare storytelling è il maître se c’è, i camerieri se sono disponibili a farlo, e gli chef che usano salutare i clienti alla fine del loro pasto. Oggi, sempre più di frequente, lo fanno gli uffici stampa tramite comunicati e news letter.
Di cosa è fatto lo storytelling?
Lo storytelling, è fatto di parole dette al cliente durante la sua, oppure scritte sul sito del locale, sulle pagine facebook o istagram, dal ristoratore o da un professionista esperto in digital food marketing.
A volte le parole compaiono sui muri del locale sotto forma di aforismi, e citazioni varie. Anche quello è storytelling, come lo sono le foto autografate alle pareti che ritraggono chef sorridenti insieme alle celebrity che hanno scelto di mangiare le sua specialità.
Come lo sono gli oggetti di arredo non utili al servizio ma messi in giro proprio per raccontare qualcosa del locale e del suo gestore. Può esserci di tutto: dall’antico aratro alla scultura astratta di un artista contemporaneo, dalla vecchia bici appesa al soffitto alle collezioni più disparate di piccoli oggetti. Alcuni locali, come il MiaGola Caffè e di Milano e il Romeow Cat Bistrot di Roma (ma ce ne sono altri) esibiscono collezioni di gatti vivi lasciati liberi di strusciarsi sulle gambe degli avventori. Se è vero che un importante scopo dello storytelling è favorire l’identificazione del cliente con il gestore, non si può negare che i proprietari di questi esercizi abbiano vita facile con i tanti gattari che affollano l’Italia.
I pericoli dello storytelling
Raccontare sé stessi incuriosisce il cliente, raccontare la propria cucina lo appassiona, descrivere con modalità narrative il piatto ne moltiplica il gradimento. Sono tutte azioni utili a creare i presupposti per una durevole fidelizzazione. Ma, come è facile intuire, ciascuna di queste azioni nasconde un pericolo.
Lo chef che indugia sulle difficoltà della sua professione, sui sacrifici che comporta, può risultare piagnucoloso, e non è bello intristirsi prima o dopo i pasti.
Quello che celebra più del dovuto sé e la sua cucina, appare presuntuoso. Quello che, parlano di un piatto, disserta troppo sulla sua storia, scivolando in quella generale della gastronomia senza esserne un vero studioso, sembrerà un orecchiante.
L’ennesimo che, parlando dei suoi inizi, cita in lungo e largo la nonna, la mamma e la zia, suonerà come un disco rotto.
Chi, infine, parla troppo - chef, maître, sommelier o cameriere che sia) potrà risultare invadente. Lo so, trovare la misura giusta delle chiacchiere non è facile, ma la logorrea è il più grave degli errori che si possano commettere e le conseguenze son spesso disastrose.
Lo storytelling è straordinariamente efficace, ma va usato con grande prudenza.