Non esiste solo il filetto e non tutti i tagli sono uguali. Sfatiamo i falsi miti attorno alla carne bovina
La prima cosa da dire a proposito del bovino e dei suoi tagli è che non esiste solo il filetto e non tutti i tagli sono uguali. Vero è che l’Italia è un Paese abbastanza “giovane” nell’utilizzo e nella conoscenza della carne bovina: dobbiamo considerare che fino agli inizi del ‘900 per noi il bovino non era assolutamente animale da macello/gastronomico, ma sopratutto animale da lavoro nei campi (aratro, carro, mulino) e utilizzato per la produzione di latte per formaggi, burro, ricotte, latte. Solo alla fine della sua vita “operativa” veniva macellato e cucinato. Era quindi una carne molto povera qualitativamente parlando. Ed è uno dei motivi fondamentali per cui la nostra cucina con carne bovina è in maggior parte composta da bolliti, stufati e così via. Oggi, fortunatamente, grazie a un’attenta selezione delle specie allevate e a tecniche di allevamento innovative, la carne italiana risulta avere una quantità di grassi molto diminuita rispetto al passato, al punto che la distinzione tra carni bianche (più leggere) e carni rosse (grasse) può essere considerata ormai un vecchio preconcetto: è piuttosto opportuna una distinzione tra tagli più magri e tagli più grassi delle diverse specie.
Le categorie commerciali
Non solo. A ogni taglio corrisponde una cottura ideale, frutto di una serie di “tentativi” più o meno voluti. È il motivo per cui quando parliamo di carni bovine, e non solo, dovremmo aver ben chiaro nel nostro pensiero che un taglio di carne ha una ricettazione e una tecnica di cottura ben definita non tanto perché lo chef è un “fenomeno” mediatico, ma perché tentativi ed esperienza hanno sancito quella scelta come miglior risultato gastronomico raggiungibile. Seguendo la suddivisione commerciale dei tagli del bovino, possiamo seguire il seguente schema. Prima categoria: carni che si possono cuocere “à la minute” o per cotture veloci e con basse temperature al cuore; seconda categoria: carni che impiegano più tempo a cuocersi e sono tendenzialmente più adatte a cotture al forno, spezzatini o in umido; terza categoria: carni particolarmente adatte a stracotti, brasati, bolliti.
Non solo filetto
Da sapere che tutti i tagli di seconda e terza categoria si prestano ad essere preparati con anticipo in quantità, senza grandi problemi di struttura e con costi che possono arrivare al 60-70% in meno rispetto ai tagli più venduti e famosi perché comodi per le cotture espresse (vedi filetto, bistecche, ecc). Questo ci consente di aumentare da una parte l’indice di produttività e dall’altro di abbattere notevolmente il food cost. Di più: gran parte delle tecniche di cottura moderne (sottovuoto, bassa temperatura, lunghissime cotture, vaso-cottura) si sposano felicemente proprio con questi tagli.
Indizi di qualità
Ciò che rende interessante un pezzo di carne non è quindi solo il suo valore intrinseco, ma soprattutto il modo che abbiamo di cucinarlo per renderlo appetibile e interessante al palato. In funzione di cosa si decide, si potrebbe scegliere senza sapere neanche il nome del taglio, in funzione di una serie di caratteristiche visibili a occhio nudo. Quali? La carne di colore scuro è verosimilmente di un animale vecchio e sarà più saporita, ma tenace. Se verifichiamo la presenza importante di nervo, si tratta di carni da lunghe cotture stufate, brasate o bollite. La presenza di grasso intramuscolare con nervo praticamente inesistente suggerisce la cottura media in padella, alla brace, al forno. Le carni magre, senza nervo, richiedono cotture brevi e veloci ad alte temperature sulla griglia, in padella, alla piastra ecc.
Un altro dei fattori che rendono la carne più interessante, dandole al contempo profumi più tondi e intensi, struttura alla masticazione più morbida e consistenza - che da cruda potremmo definire vellutata - è sicuramente la frollatura, un fattore di primaria importanza nelle carni bovine. Potremmo definire la frollatura una sorta di processo di maturazione della carne: la mezzena o comunque il pezzo di grandi dimensioni viene appeso in cella a temperatura e umidità controllate per un tempo che va dai 12 fino ai 25 giorni in particolari casi. Ciò fa sì che, attraverso un processo che potremmo definire di “decomposizione positiva” la carne si asciughi e diventi, a parità di taglio e qualità, molto più “buona”.
Il ruolo nell’alimentazione
Un’ultima considerazione. Anche i nutrizionisti convengono sull’importante ruolo della carne nell’alimentazione umana, come è emerso al VII Forum Internazionale di Nutrizione. Andrea Ghiselli, medico e dirigente di ricerca (C.R.A.) ha dichiarato: «Come accade per ogni alimento, anche per la carne è necessario assumerne una quantità adeguata: il peso di una porzione dipende dall’alimento (carne = 100 g; salumi = 50 g), e una buona frequenza di consumo potrebbe essere 4-5 volte a settimana per le carni, 1-2 volte per i salumi. Si rivela particolarmente benefica la concomitante assunzione, durante il pasto, di prodotti di origine vegetale quali cereali (meglio se integrali), verdure e frutta».