Si è soliti contrapporre il prodotto fresco alle lavorazioni industriali di terza, quarta e quinta gamma. In realtà la scelta del primo non esclude le altre. Meglio valutare di volta in volta a seconda delle esigenze produttive
Sicuramente il mondo vegetale è fra quelli più in fermento per ciò che riguarda l’aspetto delle lavorazioni industriali. Questa situazione è determinata da diverse necessità del settore: l’avere shelf life più lunghe dei prodotti, la maggiore attenzione da parte del mercato verso una dieta più sana, la necessità da parte degli operatori di avere ingredienti con un contenuto più alto di servizio per abbattere i tempi, aumentare l’indice di produzione, contenere i costi di lavorazione di basso profilo, avere alta flessibilità di servizio.
I fattori da considerare
Nascono per questi motivi i prodotti di III, IV e V gamma. Per esperienza sul campo sono portato a pensare che la differenza sia data soprattutto da come si utilizza un prodotto e non dal prodotto in sé. Mi spiego. Se guardiamo alla cucina nell’insieme dei suoi valori e necessità e non al mero ingrediente, non esiste in senso assoluto il prodotto migliore. La scelta più corretta infatti è data dalla valutazione complessiva fra tutti i valori in campo, tenendo conto di elementi quali: il gusto dei clienti, il food cost di produzione, la tendenza del momento, le esigenze dietetiche o funzionali, i tempi di servizio, il numero di coperti da servire, la tipologia di impiattamento, il numero di persone impiegate in cucina nonché la tipologia di attrezzature.
Per ultimo, ma solo per ordine di scrittura, viene l’aspetto intrinseco del prodotto. Un esempio: i piselli finissimi surgelati (terza gamma) conservano colore, sapore, e soprattutto struttura e texture di notevole valore comparati al fresco, ma non si può dire lo stesso per le zucchine.
La scelta quindi va fatta valutando tutti i fattori menzionati, riferibili anche al fresco di prima gamma. Se pensiamo ai semilavorati di seconda gamma, dobbiamo considerare che i tempi di esecuzione di una ricetta sono mediamente più bassi del 50%, ma le attrezzature da usare sono praticamente le stesse delle lavorazioni fresche. Il che ci riporta al concetto di analisi su cosa conviene fare e comprare.
Meglio i surgelati
Qui vorrei concentrarmi sulla terza gamma, una fra le più utilizzate dal mercato, ovvero alimenti che sono stati congelati o surgelati. A parte l’aspetto strumentale, possiamo dire che la differenza fra la congelazione e la surgelazione è data dal tempo e dalla temperatura usata per portare l’alimento sottozero: fra le altre cose basta prendere due ingredienti della stessa natura ma abbattuti con i due processi per rendersi conto dell’abissale differenza di colore, struttura e calo peso, senza poi trascurare la diversa shelf life. E tutto va ad assoluto vantaggio del surgelato.
Gli indicatori di qualità
Ma come scegliere tra un surgelato e un altro? Il primo valore è dato dall’Iqf: la sigla è un acronimo che sta a significare surgelato velocemente, pezzo per pezzo. In questo caso avremo tempi di surgelazione molto veloci, a tutto vantaggio delle qualità gastronomiche e organolettiche dell’ingrediente. Altra valutazione da considerare è l’aspetto estetico del prodotto, esattamente come nel fresco: se compriamo broccoli con molto gambo e poco fiore saranno broccoli di categoria inferiore e quindi di prezzo più basso; peccato che con questo prodotto aumentino sia i costi di lavorazione che lo scarto in proporzione al peso totale.
La valutazione visiva dell’alimento è fondamentale e va paragonata al fresco per ciò che riguarda gli indicatori di qualità. Provate a prendere un ingrediente della stessa natura di tre aziende diverse, metteteli uno di fianco all’altro e osservate le differenze di colore, di taglia e di taglio (se presenti). Pesateli singolarmente ancora surgelati, poi scongelate, pesate di nuovo e noterete già delle differenze. Infine cuoceteli con la stessa modalità e ripesateli: avrete in questo caso la resa, che in sostanza è il valore che il cliente riesce a percepire in modo preciso di primo acchito (l’aspetto visivo e il volume).
Un antipatico asterisco
La mia riflessione finale riguarda la legge che obbliga il ristoratore a usare l’asterisco per il surgelato, quasi che fosse vergognoso usarlo. In un mondo di economie globali dove tutto corre ed è regolato dal denaro, la terza gamma potrebbe essere definita la via per portare avanti le produzioni tradizionali. Il motivo principale per cui i contadini non producono più è infatti la scarsa conservabilità nel tempo del prodotto fresco, cui si aggiungono i problemi legati alle forti fluttuazioni del consumo e alla ridotta stagionalità dell’ingrediente stesso.
La terza gamma annulla questi limiti, consentendo all’agricoltore di pianificare e produrre a preventivo, ai retailer di non buttare le merci invendute (ricordiamo che il costo del prodotto eliminato va ammortizzato sul prodotto venduto, il che significa prezzi più alti per noi utilizzatori) e a noi di di avere più scelta di ingredienti da usare, senza contare che gli alimenti di terza gamma riescono a conservare nel tempo gran parte dei nutrienti utili all’uomo.
Sfruttare la varietà
Vorrei da queste pagine lanciare il manifesto della “cucina imperfetta” che altro non è che la cucina italiana.
A differenza di francesi o spagnoli che attraverso la tecnica dovevano sopperire alla mancanza di varietà e qualità di ingredienti per avere un risultato gastronomico significativo, noi italiani abbiamo sempre avuto una molteplicità di ottimi ingredienti.
La scarsa competenza tecnica era compensata dalla capacità di ogni madre di famiglia d’inventarsi la propria personale ricetta. La nostra vera forza era la riconoscibilità.
La terza gamma è un mezzo per perpetuare una tradizione che potrebbe sparire.
È sempre l’uomo, con il suo operare, che aggiunge il valore a un qualunque ingrediente, per eccelso che sia. Nessuno meglio di voi, nella vostra cucina, potrà interpretare al meglio l’ingrediente acquistato.