Di secolare tradizione, l’aceto balsamico è ormai un simbolo dell’italian food nel mondo, con grandi benefici per l’export
Tutto avviene con lentezza, anno dopo anno. L’aceto balsamico è un vero viaggio nel tempo che parte dal mosto d’uva cotto, il quale matura per un lungo periodo in botti di legni diversi, senza aggiunta di alcuna sostanza aromatica.
Non bisogna avere fretta, dunque, per ottenere questo “balsamo” sciropposo di color bruno lucente e dal sapore dolce e agro in perfetto equilibrio. Un prodotto che racchiude in sé secoli di storia e la sapienza di una tradizione che nulla lascia al caso, in una sorta di alchimia fatta di fermentazione naturale e travasi intervallati da lunghi periodi riposo.
Per gli Estensi era un dono per gli ospiti di riguardo
Eppure pare che proprio per caso si avvenuta la sua “scoperta”, grazie all’antica abitudine delle famiglie del modenese di maturare il mosto cotto acetificato invecchiandolo in botti di diversi legni, conservate nei sottotetti delle case, con conseguenti escursioni termiche tra le calde estati e i freddi inverni della zona. Con il tempo si è capito che l’elisir ottenuto era prezioso, tanto da venire usato in piccole quantità solo nelle occasioni speciali e, nel Rinascimento, diventare oggetto regalo per i personaggi importanti che frequentavano la corte degli Estensi.
L’aggettivo “balsamico” compare per la prima volta nel 1747, citato nei registri delle cantine segrete della Corte. Un nome che non è generico, come emerge da una recente ricerca condotta da Nomisma su “Comportamento di consumo, percezione e conoscenza dell’origine dell’ABM in Italia e in 4 importanti mercati europei” (Germania, Francia, Spagna e Grecia), secondo cui nei Paesi europei oggetto di studio c’è una percezione diffusa, che l’origine dell’aceto balsamico sia italiana e che il termine “balsamico” sia strettamente e univocamente collegato all’immagine che gli aceti emiliani hanno saputo guadagnarsi tra i consumatori internazionali. Varcati i confini nazionali oggi è uno degli ambasciatori del made in Italy, con cifre in aumento e con una crescita costante nelle esportazioni.
Tutto inizia dal mosto
L’aceto balsamico si distingue in due tipologie di prodotto: aceto balsamico tradizionale, tutelato dalla Denominazione di Origine Protetta dal 2000 (nelle versioni aceto balsamico tradizionale di Modena Dop e aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia Dop) e aceto balsamico di Modena, che ha ottenuto il marchio Igp nel 2009.
L’aceto balsamico tradizionale si produce dal mosto d’uva cotto, invecchiato per almeno 12 anni.
Il processo può durare fino a 50 anni e richiede ripetuti travasi tra botti contenenti prodotti a diverso grado di invecchiamento, da cui viene prelevato ogni anno il 25-30% del contenuto. Viene commercializzato in due tipi: con invecchiamento di 12 anni o di almeno 25.
L’aceto balsamico Igp, invece, è ottenuto dalla lavorazione di mosti sia cotti sia concentrati a cui si aggiunge come starter della fermentazione acetica dell’aceto di vino invecchiato. Attraverso la scelta dei mosti di differenti vitigni e variando la miscela delle due qualità di mosto si possono ottenere diverse qualità di aceto balsamico.
Quindi si procede all’affinamento o all’invecchiamento in contenitori di legni pregiati. Per l’affinamento o maturazione sono previsti almeno due mesi in contenitori di legno pregiato, per l’invecchiamento occorrono più di 3 anni in botti di legno.
Tutte le materie prime utilizzate devono rispettare i capitolati elaborati dai vari consorzi a cui aderiscono i maggiori produttori. Nell’utilizzo in cucina va ricordato che l’aceto balsamico non va mai in frigo.