“Sintesi di tradizione e innovazione”. Ogni volta che si legge questa abusata formula, un velo di stanchezza cala sopra le palpebre e anestetizza il cervello. Ma in questo caso - siamo a Savona, al Mare Hotel, e soprattutto al desco de “A Spurcacciun-a” - prendiamoci la libertà di cadere nel cliché, perché è quasi un obbligo. E non per la cucina, che oggi spinge decisamente l’acceleratore sulla creatività. Piuttosto, per la formula di questo albergo e ristorante che nel 2020 celebrerà i primi 100 anni di vita. Perché nell’involucro curatissimo di una storica insegna, accesa dai nonni degli attuali titolari (i fratelli Claudio e Pervinca Tiranini), da sempre ha spirato una fortissima brezza di novità ed estro. La stessa che ha spinto la proprietà lo scorso anno a chiudere per 5 mesi per dare un volto nuovo alla cucina (ora tra le più belle d’Italia) e offrirne la guida a un giovane talento di ritorno (Simone Perata).
Una voglia di stupire che anni fa portato i titolari alla creazione di alcune sale esperienziali - quando di esperienza in cucina ancora non si parlava - come la sala cromo dinner, caratterizzata da un cambio continuo di colori della cupola e dello sfondo, che può anche trasformarsi nella sala tappeti volanti, dove si ha la percezione di sedere sospesi nel cielo. O ancora l’esperienza del tavolo solo mani, ideato nel 2002, “dove il tatto amplifica i sapori, e la sosta diventa socializzante e ludica. Ma anche più profonda, perché cambiando le regole della tavola si finisce per mangiare più concentrati” racconta Claudio Tiranini.
Ma facciamo un passo indietro. A Paola, soprannominata a Spurcacciun-a, e a Giuseppe, detto Gin. Furono loro ad avviare l’attività cento anni fa, nel borgo savonese delle Fornaci. Era una semplice trattoria, che a pranzo e cena proponeva classici come ciuppin, zuppa di pesce, ravioli, minestrone, stoccafisso, e tra un servizio e l’altro sfornava la farinata. Nel 1965 nasce l’hotel, rinominato Mare Hotel nel 1985. Nel frattempo l’attività si è spostata alle porte di Savona, sulla via Aurelia. Anonima all’esterno, ma dagli interni destabilizzanti. Perché varcata la porta, si finisce catapultati in un’altra dimensione, con la scenografica hall, l’elegante sala ristorante, il bistrot proteso verso il mare, lo stabilimento balneare con piscina, mentre al piano inferiore aspettano una cantina-teatro con 15.000 bottiglie e ancora un sushi beach di qualità. Claudio Tiranini per anni ha guidato la cucina. «Sono nato sotto un forno - racconta - e a 5 anni impastavo la farinata. Poi ho lavorato da Angelo Paracucchi, Roger Vergé, Gualtiero Marchesi».
La cucina e il servizio
Oggi continua ad alternare i vestiti da imprenditore alla giacca da cuoco, ma ha fatto un passo indietro, per dare a Simone Perata lo spazio necessario. In carta rimangono pochi piatti della Spurcacciun-a di qualche stagione fa. Giusto il Crudo di pesce, gamberi, scampi con alghe croccanti e ricci e la Tartare fuori tempo massimo: gamberi rossi con caviale Calvisius, dentice con perle di salmone balik, tonno con zenzero. Il resto è frutto dell’inventiva e della tecnica di Perata.
«In lui abbiamo trovato un giovane molto preparato tecnicamente, ma che come noi pone la materia prima alla base di tutto».
In effetti, impossibile obiettare sulla qualità degli ingredienti. Il pesce è nostrano, freschissimo, arriva al ristorante senza nemmeno passare dal mercato, grazie al rapporto diretto con pescatori del posto. «Alla sera qui si mangiano i crostacei che andrebbero all’asta il giorno dopo». Anche le verdure sono vere primizie, tra fornitori fidati e l’orto di proprietà. Non resta dunque che prendere posto nella sala, pensata nel 2003 ma ancora attuale, che l’ultima rinfrescata ha alleggerito di alcuni tavoli. È una sala ampia, geometrica, sviluppata su spazi rettangolari, mentre i tavoli sono rotondi, e sopra ciascuno campeggia una piramide nera di gres porcellanato (lo stesso materiale usato per i top della cucina) utilizzata come base per il vassoio degli appetizer e della piccola pasticceria.
La materia prima come motore nobile di ogni piatto. Poi un occhio al territorio, ma con sguardo aperto a 360 gradi, che si apre al mondo e insiste all’Oriente nell’utilizzo di alcuni ingredienti ricorrenti. Piatti basati su gusti di contrappunto, una notevole perizia nell’uso delle salse, una complessità di insieme che non diventa mai indecifrabile. È questa la cifra stilistica della cucina di Perata. Con lui in cucina opera una brigata importante, anche numericamente, che annovera anche Gianluigi Erme (sous-chef) e Tomohiro Kiramochi (cuoco giapponese da 10 anni alla Spurcacciun-a). L’imprinting dei maestri di Perata sbuca fuori nei piccoli particolari (l’impronta di Barasategui è forse la più nitida), da come viene tirata una salsa, da alcune forme e accostamenti, ma non vela mai la personalità dello chef. Si può optare tra due menu degustazione (il 9 portate a 120 euro, il 6 portate a 90), il Sapori di Liguria (quattro piatti a 65 euro), oppure per la carta.
Dopo gli appetizer, la sveglia alle papille è suonata dalla Spuma di peperone cozza e gelato all’olio extravergine: leggermente piccante, incisiva, contrastante. I Tortelli di nocciola prosciutto di ricciola marinato in brodo di miso sono resi più complessi dall’erba cipollina e dalla persa, la maggiorana, aromatica fragrante che è essenza di Liguria.
La linea della cucina è facile da decifrare e spazia da antipasti come la Millefoglie di foie gras, tonno rosso e alga nori, salsa sumiso e daikon marinato oppure le Capesante crude e cotte, uovo di quaglia poché, cavolfiore, salsa ponzu e nocciole. Ma anche da primi come i Bottoni ripieni di toma di pecora Brigasca, pepe di Sarawak, caviale Calvisius e fagioli di Pigna: ardito nell’impiattamento e compiuto nell’insieme. Tra i secondi, un monumento per la Scaloppa di mupa (un pesce di fondale) con croccante di olive taggiasche.
Infine il servizio: è guidato dal maître Giuseppe D’Angelo (coadiuvato da Mattia Valentino), mentre la cantina è fatta girare dal sommelier Michelangelo Raffa.