Acciughetta (Genova), giovani imprenditori crescono

La sala ristorante di Quelli dell'Acciughetta
Quelli dell’Acciughetta a Genova hanno aperto una prima trattoria nel nome del pesce “povero”. Poi il secondo locale, con una cucina piu’ raffinata. Mantenendo l’essenza pop

Sono giovani e forti. Hanno le idee chiare. Sono Quelli dell’Acciughetta. In un lustro si sono affermati tra le più belle realtà di Genova. Sono partiti da una minuscola trattoria ai bordi di via Prè - che via non è, piuttosto un vicolo allargato, la cui losca nomea travalica i confini cittadini - e hanno raddoppiato con un secondo locale, in corso Podestà.

Altra zona, altri spazi, altra Genova: una strada-belvedere punteggiata da pini marittimi, da cui scansionare la città ottocentesca e le sue maglie più larghe. Giorgia Losi, Simone Vesuviano, Matteo Rebora è il trio alla guida, ma l’innesco è tutto merito di Giorgia che, a febbraio 2015, dopo una laurea in scienze della comunicazione digitale e tre anni di esperienze nel marketing, ha deciso di svoltare per aprire la Trattoria dell’Acciughetta, un localino intitolato alla regina dei pesci liguri “da poco”. Qui Simone Vesuviano è un giovanissimo aiuto cuoco.

«Dopo un paio d’anni nel 2017 ho preso in mano la cucina, senza sapere a cosa andavo incontro - racconta Simone, classe 1985, oggi cuoco assieme a Matteo Rebora -. Partiti come trattoria tradizionale, con il mio ingresso abbiamo virato verso una cucina più giovane e creativa, contemporanea. Anche aiutato dal fatto che non sono genovese puro, ma pugliese da parte di padre, ci siamo divertiti a scombinare la cucina ligure». Il nome Acciughetta comincia a crescere, così come la lista d’attesa per trovare un posto nel weekend. «Anche per questo la trattoria, con i suoi spazi angusti, non ci bastava più. Oltre ai limiti strutturali della cucina, minuscola».

Quelli dell’Acciughetta, il secondo locale, diventa una necessità, concretizzatasi nel 2019, a fine novembre. Finalmente un laboratorio all’altezza, dove preparare pane, focaccia, pasta fresca. E un locale più ampio, essenziale e caldo, contemporaneo, arredato con gusto e ricerca da Giorgia, bravissima nel creare atmosfera accostando pezzi antichi ritrovati in un mercatino con arredi di design. Al centro della sala quadrata, un grande tavolo conviviale in legno di cedro cattura lo sguardo.

Cucina di ricerca

La trattoria come una palestra, il nuovo locale un palcoscenico più ampio e funzionale, dove dar vita a una cucina più ricercata, senza però perdere l’essenza. Che è quella di una cucina pop, naïf, concreta, di sostanza e qualità. «La base dei nostri piatti è sempre il gusto - spiega Matteo Rebora - che deve essere popolare, non cerebrale. Non ci troverete virtuosismi, esasperazioni o mode. Piuttosto, piatti semplici, amabili, se vogliamo anche ruffiani. Dettati dal mercato, dalla stagione e dal nostro estro».  Una cucina decodificata - nessuna ricetta è un totem intoccabile - popolare anche nei prezzi (per quattro piatti non si superano 50 euro), perfettamente in linea con il concetto di “trattoria contemporanea” sostenuto da realtà come Trippa, SantoPalato o Mazzo, per fare tre nomi noti. «Per i più giovani possiamo rappresentare il locale top che possono permettersi, per chi gira i ristoranti gourmet siamo un posto divertente».

Nessun menu degustazione

Non ci sono menu degustazione, ma una carta stuzzicante che mescola pesce e carne. Qualche esempio? L’Acciuga Santa sono ravioli fritti serviti su un’insalata di puntarelle, nei quali la sfoglia è sostituita dall’ostia (le ostie fritte sono una tradizione genovese), mentre il ripieno è un contrappunto sapido e gustoso di acciughe fresche e salate, aglio, prezzemolo, limone e un poco di patate. Oppure la Millefoglie di brandacujun, preparato con il baccalà e non il tradizionale stoccafisso, servito appunto in millefoglie alternate da cialdine ipercroccanti di panissa fritta, patè di olive taggiasche e salsa verde. O ancora i tortelli ripieni di ricotta affumicata di pecora e cipollotto, con salsa all’arancia rossa e scorza all’arancia. Altro piatto “simbolo” sono i brownies di coda di vitello con demi glace al cioccolato, panna acida al rosmarino e nocciole. «Spolpiamo una coda di vitello stracotta, ne creiamo dei cubi e la ripassiamo in padella servendola con il suo fondo bruno al cioccolato amaro, della panna montata al limone e rosmarino e una spolverata di nocciole». C’è un richiamo esplicito alla coda alla vaccinara, in questo piatto che nell’aspetto assomiglia davvero a un dolce, e che coi suoi gusti intensi è conclusione perfetta della parte salata del pasto.

Cucina semplice, ma ricca di idee

Una cucina semplice, amano dire, ma ricca di idee. Un casual restaurant che ha tante frecce al suo arco, e che sta diventando un’istituzione in città. La carta dei vini è decisamente improntata ai vini naturali. Sono una sessantina le etichette, una decina delle quali proposte al calice. «Ci piacciono i vini che hanno una storia da raccontare, che hanno alle spalle il volto di un viticoltore». E naturali sono i sorrisi di uno staff giovane, tutto under 30. «Ci piace interagire con le persone, pensare positivo, sorridere sempre. Nella creazione dello staff abbiamo sempre privilegiato questa attitudine a una professionalità spinta. Perché le competenze si possono acquisire col tempo, mentre l’attitudine è un fattore intrinseco, difficilmente malleabile». I sorrisi si ritrovano anche sui social, sui quali l’Acciughetta ha costruito parte delle sue fortune grazie all’esperienza sul campo di Giorgia e una capacità rara di generare empatia.

 

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