Una cucina che si apparecchia a due passi dal mare, riverberandone i profumi, il gusto e i colori. Per un assaggio a tutto tondo di questa parte di Adriatico. Il ristorante Nostrano di Stefano Ciotti sottolinea in ogni suo dettaglio la scelta precisa di parlare di queste terre. Il pesce che la fa da padrone, la passione per rosmarino e scalogno, carni e formaggi che scendono a valle. Accade in questo spazio vetrato e caldo, coerente e ospitale, a pochi metri dalla Sfera grande dello scultore orafo romagnolo Arnaldo Pomodoro e dal villino Ruggeri in stile liberty a Pesaro, nelle Marche.
Nostrano ha inaugurato in luglio 2015 e, ad appena un anno d’età, è arrivata la sua prima stella Michelin. Merito del suo chef, il quarantatreenne Stefano Ciotti, che già nel 2009 si era conquistato una stella al Carducci di Cattolica e che ora con questo riconoscimento ritiene premiata, oltre alla sua cucina, anche il progetto di questo posto in cui lui e la sua compagna Giorgia Stocchi sono titolari. «Io sono un nostrano, un nostrano 2.0 – commenta Ciotti», elogiando al contempo la “cucina divina” di sua mamma che ha allevato in lui la sensibilità a questi aromi e sapori sin da bambino e ricordando il fondamentale passo nella gestione di Urbino dei Laghi prima di intraprendere un cammino in proprio. «In questo nome c’è tutta la mia idea - dice lo chef - , la consapevolezza che io sono e cucino così. Questo è il mio Dna, la mia cultura».
Ecco allora che tutto questo si traduce nella lavorazione degli ingredienti di base di queste terre attraverso le più moderne tecniche e i più raffinati procedimenti. Il rosmarino diventa una crema gelato con cui accompagnare un morbido biscotto di nocciole e pere al caramello e il fine pasto si addolcisce di un caffè servito con una gelatina all’olio d’oliva. Una chips di patate si sposa con il pecorino di Fossa, la cialda di arachidi con il mosto cotto e la crocchetta di erbe con limone e acciuga. I pani, a lievitazione naturale, si aromatizzano di lardo e rosmarino. Le mazzancolle si tingono di salse dai tanti colori e gli spaghetti scivolano su una crema di acciughe in un piatto spennellato di aglio nero romagnolo rifermentato. Devia l’ostrica esotica che, bretone, si bagna in un succo di zenzero e frutto della passione.
«Un tempo cercavo di stupire negli accostamenti, mentre oggi vado all’essenza: all’esaltazione degli ingredienti, dei prodotti che ho trovato. Un esempio per tutti il mio maialino in tataki - racconta Ciotti -. Per il pesce ho la fortuna di avere un amico specializzato nel battere tutti
i mercati più importanti della costa adriatica per accaparrarsi le primizie in cui quella zona è specializzata, come le sogliole a Rimini o le canocchie a Fano. I formaggi li prendo da produttori locali come Cau&Spada e Beltrami. Carni e salumi dalla fattoria Cal Bianchino di Urbino. Le verdure ai mercati dei contadini qui attorno e da un’azienda agricola biologica poco fuori Pesaro. L’olio al Conventino di Monteciccardo. La pasta dalla ditta Mancini di Fermo, mentre per alcuni grani arrivo anche in Sicilia ai Molini del Ponte di Filippo Drago. Quanto ai vini, la scelta delle 300 etichette a menu è frutto della collaborazione del mio attuale maître e sommelier Alberto Consolini con due miei amici e collaboratori storici, Alan Mancini e Giuliano Gnoli. La carta si concentra molto su Marche ed Emilia Romagna, ma punta anche molto sui bianchi francesi e offre una vasta, e graditissima al cliente, scelta di bollicine».
Antipasti, primi, secondi e dessert propongono à la carte sulle quattro referenze ciascuno, altrettanti i menu degustazione. Menu fissi, in tutti dessert incluso: “Necarnenepesce” con tre portate vegetariane (40 euro); “tuttopescenientepasta” con quattro portate di pesce senza primi (45 euro); “gran pasto a base di pesce” con sei piatti di mare (65 euro) e infine “gran pasto di pesce e carne” con otto portate miste (90 euro). I piatti seguono le stagionalità e la reperibilità dei prodotti di cui si compongono. Nuovi? Sempre, risponde lo chef.
E mentre Ciotti racconta di come sia recettivo nei confronti delle idee che giungono dai suoi collaboratori - non a caso spinti a seguire stage in luoghi come Piazza Duomo di Enrico Crippa e Inkiostro di Terry Giacomello - si confessa ispirato ventiquattrore su ventiquattro da nuove intuizioni: «Capita. Assaggio la cipolla di Suasa e, come quando ascolti una canzone e la memorizzi per risentirla, io segno sul mio smarthphone l’appunto di crearne un piatto. Faccio continuamente bozze sul mio telefonino di nuove idee e concetti. Poi le sfoglio la notte e il mattino le condivido con i ragazzi e creo». Che dire, a ben vedere un vero Nostrano 2.0.