Lo stregone cuoco della Ciociaria

Il libero cuciniere delle colline ciociare, Salvatore Tassa, che negli anni 80n stupiva con la sua cipolla carammelata, continua a innovare fra fermentazioni e crio-estrazioni, per una cucina attenta all'uomo e all'ambiente

Inquadrare un personaggio come Salvatore Tassa e il suo ristorante Colline Ciociare richiede uno sforzo di riflessione. Il “libero cuciniere” di Acuto (Frosinone) e - aggiungiamo noi - spirito un po’ anarchico e creativo, non fa certo una cucina che corteggia le mode. A volte piuttosto le anticipa con un grande lavoro di ricerca su ingredienti, crio-estrazioni, abbinamenti, e da anni sorprende con una cucina di confine, a tratti estrema, e oggi sempre più sostenibile, “di civiltà e territorio”, attenta a quell’ambiente che anche un ristorante può proteggere.

L’ultima svolta di Tassa risale ai tempi dell’Expo milanese, due anni fa con un menu dedicato, o meglio, una sorta di riflessione sulle cose che in futuro possono aiutare l’uomo a nutrirsi in modo decente. Con l’aiuto dell’amico fotografo e creativo Bob Noto, scomparso di recente, la “x” dell’Expo diventa il simbolo dell’infinito, un 8 orizzontale che fa bella mostra di sè anche nelle pareti della cucina. Un segno che con il suo moto perpetuo può rappresentare l’unica soluzione al cambiamento epocale dell’alimentazione nel mondo.

Il “piatto” di questo nuovo corso, o manifesto, nato con l’Expo era “l’Acqua”: un’acqua affumicata per osmosi con fumo di tè e in parte messa in infusione a 42 gradi con fiori, erbe e aromi (finocchietto, menta, fiore di pesco…); poi la corteccia di una pianta resinosa scaldata in forno a 200 gradi per 5 minuti e i profumi che tornano a esalare nelle due acque che sono infine miscelate.

Facile domandarsi se siamo nella cucina di uno chef o tra le ampolle di uno “stregone” di 62 anni, barba da nonno, occhiali con montatura spessa e aspetto un po’ burbero che negli anni ’60 si ritrova nell’osteria di famiglia e che nell’88 prende in gestione diretta per sviluppare la sua idea di cucina, insieme alla moglie Tina dietro le quinte, e oggi col figlio sommelier Giovanni e il resto della brigata.

Senza un’impostazione scolastica lo chef si forma uno stile molto personale attingendo a mani basse anche tra radici, bacche, cortecce, muschio, erbe di campo, in tempi non sospetti, già prima che queste “passeggiate” venissero osannate dalla moda del “foraging”. Nel 2007, ad esempio, mette a tavola un brodo di legno di ciliegio e nel 2009, tra le critiche, porta in tavola la semplicità de “L’orto”, una patata e una carota cotte sottovuoto naturale, senza usare la plastica, che non è certo materiale sostenibile.

Oggi la ricerca si specializza proprio sul rapporto uomo-ambiente, a partire dall’acqua e attraverso una cucina che lo chef definisce “semplicemente artigianale”. «La trota di fiume - spiega Tassa - è una risposta all’inquinamento dei mari, così come le radici, le erbe spontanee, le cortecce degli alberi. Il cuoco deve essere responsabile della salute e dell’ambiente, un atteggiamento che se fosse adottato in massa cambierebbe il mercato. Invece ci stanno indirizzando sui carboidrati, la pasta, il pane, su un’alimentazione mediterranea che non esiste. C’è la moda del pane, dei grani antichi e tutti si mettono a farli. La verità è che siamo in mano a gruppi commerciali che ci fanno perdere l’identità per trasformarci in consumatori a comando».

In cucina Tassa si muove abilmente tra le note acide delle fermentazioni (“una tecnica da maneggiare con cura, può essere pericolosa”) e crio-estrazioni o estrazioni a freddo, che trattano gli alimenti in modo naturale, valorizzando la purezza e l’essenza degli ingredienti. Senza aggiunte di sale e grassi per dare spalla ai sapori.

Si inseriscono in questo filone piatti come la Trota di Vallepietra, alle foci del fiume Sembrivio, sui monti Simbruini. Il pesce è cotto sulla pelle al vapore e poi servito su una crema duxelle di funghi e poi contornata di gocce di salsa di sedano rapa crio-estratta, di olio di cipresso, di gelatina di mela, di maionese d’acqua di verza fermentata, gocce di legno di castagno e varie erbe (foglioline di sedanina, di tagete, pepe d’acqua, basilico-peperone, etc). E anche se il menu cammina, alcune proposte sono intramontabili. Come lo snack d’apertura “sfoglia di polenta secca in crosta” con granella di pistacchi, nocciole e foglioline di maggiorana. Che si sgranocchia un pezzo a volta, in modo compulsivo.

 

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