I ristoranti “seri” hanno ancora il carrello dei formaggi mentre quelli moderni ti portano il “tuo” vassoio personalizzato con una degustazione di 4/5 specialità. Il formaggio al ristorante non passa di moda. È diventato un ingrediente premium nella sua declinazione Dop: il risotto al Castelmagno, il cheese burger al Provolone Val Padana Dop o al Taleggio, l’insalata di carciofi con Parmigiano Reggiano stagionato 30 mesi. Neanche la contrapposizione tra formaggio fresco e stagionato sembra essere un problema: mozzarelle, burrate e trecce hanno nella ristorazione lo stesso successo di tome, caprini ed erborinati. Si replicano concept come Obikà, il mozzarella bar studiato come un sushi-bar, a Roma c’è Romeo Chef & Bakery, circa 300 tipi di formaggio da assaggiare come tapas con pane e focaccia del forno romano Roscioli.
Negli happy hour c’è sempre formaggio cubettato come snack (e spesso la qualità è migliorabile), così come in qualsiasi buffet del catering. Per i ristoratori il formaggio è un prodotto relativamente facile da gestire, i fornitori sono ben organizzati dal punto di vista logistico e ormai esistono affinatori che sono in grado di suggerire un assortimento mirato e completo per posizionamenti premium. Eros Buratti o la famiglia Guffanti per esempio, sul Lago Maggiore. Quello che manca in Italia è in verità un cheese bar, un locale che metta al centro il formaggio facendolo degustare al naturale o declinato in ricette tradizionali e innovative, come Londra o Barcellona. Un ambiente moderno con un grande bancone dove a vista ti viene preparato, servito e spiegato il formaggio o dove lo stesso è protagonista di una ricetta non convenzionale.