Food pairing al ristorante: come costruire una proposta che funziona

Le caratteristiche per costruire una proposta cibo&cocktail che funzioni, anche economicamente. Con i consigli di Alma e Campari Academy

Food pairing
Le caratteristiche per costruire una proposta cibo&cocktail che funzioni, anche economicamente. Con i consigli di Alma e Campari Academy

Cadenzata, fruibile, conviviale, opzionale: sono le caratteristiche chiave per costruire una proposta di food pairing piatti e cocktail al ristorante che funzioni, anche dal punto di vista economico.

«La prima valutazione da fare - afferma Carlo-Maria Ricci, chef ambassador di Alma, che ha curato il progetto Food Pairing frutto della collaborazione tra la scuola di Colorno e il gruppo Campari, con il coinvolgimento di Campari Academy - è sulla proposta beverage che si ha o si vuole costruire. Per chi ha una cantina importante e una carta dei vini strutturata spingere sulla miscelazione può creare qualche difficoltà alla vendita delle bottiglie. Diverso è il ristorante con all’interno il bar che ha già un proprio stampo incentrato sulla miscelazione: qui le sinergie possono essere molto interessanti». A patto di rispettare alcuni criteri guida.

Linee guida per un progetto food pairing vincente

Il primo concetto è di creare degli appuntamenti, farne un evento: «Inserire stabilmente il food pairing piatto+cocktail, specie all’inizio, può essere complicato - spiega Ricci -. Molto meglio creare eventi con menu dedicati, con una frequenza al massimo settimanale. In stagione, l’ideale è farli nel weekend, quanto l’atmosfera è più rilassata. Oppure si può proporre il food pairing cibo e cocktail come opzione ai clienti per occasioni speciali: matrimoni, feste, celebrazioni ecc.».

La parola chiave per costruire un menu con il pairing per Ricci è la fruibilità: «L’introduzione dei cocktail al ristorante funziona meglio quando contribuisce a rendere più informale l’esperienza di consumo - spiega lo chef -. L’idea di un menu degustazione con ogni piatto abbinato a un cocktail è poco funzionale, ancor di più se l’abbinamento è “obbligatorio”: rende l’esperienza ingessata e un po’ faticosa. Magari interessante dal punto di vista sensoriale, ma difficilmente ripetibile. E quindi difficilmente rivendibile».

Molto meglio un menu corto, suggerisce lo chef, massimo 5-7 piatti per tipologia, ognuno dei quali con un cocktail suggerito. «In generale, un menu con un numero di portate contenuto offre al ristorante una serie di vantaggi di gestione molto importanti: non solo dal punto di vista della riduzione degli acquisti o delle scorte, ma anche della maggior facilità a individuare quali dei piatti proposti funzionano e quali no, in modo da poter periodicamente aggiustare il tiro».

Elementi chiave: suggestione, convivialità e qualità

Tornando al food pairing, la formula che funziona meglio è quella del suggerimento, della suggestione: «Meglio evitare obblighi o costrizioni, né sugli abbinamenti né sul percorso, lasciando al cliente la libertà di scegliere se prendere un primo, partire da un secondo, abbinarci il drink o non farlo. Per il cliente diventa interessante e intrigante».

Riuscire a far risaltare la convivialità dell’esperienza è per Ricci un altro elemento cruciale: «Lo si può fare per il cibo, per esempio proponendo dei piatti unici da condividere in modo da facilitare l’interazione e far risaltare l’informalità, oppure - se lo spazio, il tempo e le risorse lo consentono - prevedere un servizio cocktail al carrello con preparazione davanti agli occhi del cliente».

A monte, naturalmente, ci deve essere la qualità: «Nella scelta e nella preparazione dei cocktail occorre mettere la stessa cura e la stessa attenzione che c’è in cucina - spiega Ricci -. E, come accade per il vino, in cui gli abbinamenti si studiano insieme al sommelier, anche per i cocktail la collaborazione e il lavoro di squadra sono gli ingredienti che producono il risultato migliore. L’obiettivo è di fare in modo che la combinazione cibo-bevanda crei un’esperienza sensoriale di livello più alto, evitando che uno dei due elementi risulti preponderante».

Quali i cocktail da proporre?

«I grandi classici, a partire dai più conosciuti e più venduti, possono essere un ottimo punto di partenza, anche se tutto dipende dalle caratteristiche e dalle competenze del bartender. Privilegerei quelli beverini, senza note alcoliche troppo spiccate».

Ricci invita a non sottovalutare anche gli aspetti economici: «Creare una proposta di cocktail di valore e affidarla a un buon barman è una strada più semplice, più veloce e più economica rispetto a strutturare un’offerta di vino minimamente strutturata e formare un sommelier capace di venderla. Senza contare che creare una buona bottigliera per i cocktail richiede un investimento decisamente più contenuto rispetto alla creazione di una cantina adeguata».

 

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