Dessert: un dolce rilancio per il business

IL dessert può rappresentare fino al 16,5% del giro di affari. Ecco perché è bene non sottovalutarlo. Ma perché funzioni dev’essere ben presentato, coerente con la linea di cucina e deve saper attirare l’attenzione del cliente

Per sua natura, il dessert, arriva buon ultimo, quando si è ormai sazi. E, a meno che non faccia parte di un menu degustazione, molti al ristorante rinunciano a ordinarne uno. Specie se la carta dei dolci è un’elencazione di proposte banali e prevedibili, magari slegate dalla linea di cucina del ristorante o non all’altezza delle altre portate. Molti ristoratori, in effetti, considerano i dessert un’appendice dell’offerta poco significativa, alla stregua dei titoli di coda di un film: ci devono essere, ma pochi li guardano.

Eppure... Eppure al ristorante c’è più di un motivo per puntare sull’ultima portata del pasto: in media, a seconda del tipo di locale, il dessert rappresenta, infatti, dal 7,8 al 16,5% del fatturato complessivo. Insomma, percentuali non proprio trascurabili. Inoltre, un piatto in più venduto a fine pasto, con tutti gli eventuali annessi e connessi (per esempio, l’abbinamento a un calice di vino), contribuisce ad alzare la spesa media per cliente.

«Il dessert non soddisfa il bisogno primario di nutrirsi - dice Giacomo Pini, di GP.Studios, consulente e formatore nel campo della ristorazione e del turismo -. È invece autogratificazione, trasgressione, appagamento di una voglia. Se in carta però si trova solo una crème caramel, difficilmente spenderò per una portata in più. E lo scontrino medio ne soffre». Sta qui la chiave di lettura: occorre invogliare il cliente, stuzzicarne la gola, solleticarne la curiosità e, infine, emozionarlo e stupirlo con una portata tanto bella da vedere quanto buona da mangiare. Come costruire un dessert che connoti in maniera originale l’offerta?

In generale, dipende dal tipo di locale, dalla sua offerta e dalla presenza o meno di un pasticcere nell’èquipe di cucina. Le parole d’ordine, però, sono sorpresa, poco zucchero e leggerezza, come conferma un rapido giro di opinioni con alcuni dei più affermati chef pasticcieri italiani che lavorano nell’ambito della ristorazione.

Non c’è dubbio, oggi i dolci devono essere più leggeri che in passato, con meno grassi e meno zuccheri, sia per motivi salutistici, sia per non sovraccaricare il palato, che normalmente arriva al dolce dopo un percorso di portate salate e saporite. «Un dessert magari buono, ma troppo dolce e pesante, delude e stanca - mette in guardia Galileo Reposo, di Peck, a Milano -. Inoltre, il cliente è esigente, vuole essere stupito sia sul piano gustativo che su quello estetico. Giocoforza per il professionista mettersi in gioco e proporre sempre qualcosa di nuovo e interessante».

Reposo costruisce i suoi dessert intorno al gioco di contrasti - di temperature, consistenze e gusti -, che, dice «in bocca creano un dialogo importante e stimolano chi mangia». Nella carta dei dolci del ristorante di Peck, Reposo propone un dolce a base di formaggi morbidi, montati a crema con lamponi, menta, zenzero ed erba santolina, mandorle che danno una nota tostata, mentre il sorbetto al lampone aggiunge una piacevole nota fredda.

«Bisogna essere bravi a dosare lo zucchero come si dosa il sale in cucina - afferma Beppe Allegretta, del ristorante Unico di Milano». Per Allegretta, il dessert deve accendere un ricordo e far scaturire emozioni attraverso sapori, profumi e colori. Come Apulia, che lo chef pâtissier ha creato usando ingredienti che ricordano le sue origini pugliesi: con la farina di grano arso realizza un crumble; con il succo di pomodoro e aceto di vino bianco prepara una riduzione agrodolce; con le olive nere (fritte in olio bollente) e pomodorino, poi frullate nel pacojet - fa un gelato leggermente amarognolo; l’elemento croccante, infine, è dato da crostini di pane di Altamura aromatizzati all’olio.

Un altro esempio è la rivisitazione della pasta al pomodoro, basilico e ricotta dura: con uno stampo in silicone Allegretta ha fatto dei maccheroncini di cremoso al cioccolato bianco e poi li ha abbattuti; la salsa che imita quella di pomodoro è a base di gel di lampone e fragoline di bosco, la ricotta è sostituita da una meringa sbriciolata; completa il tutto la salsa al basilico. Quanto alle tecniche, la regola è quella della semplicità: meno manipolazioni ci sono e più si riesce a sentire profumi e sapori della materia prima. All’Unico, rivela Allegretta, su 60 clienti, la sera 55 ordinano il dessert (e solo il 20% è compreso nel menu degustazione). Il gelato, come si vede, è ricorrente. «Gelati, sorbetti e granite sono componenti fredde che creano distacco dagli altri elementi del dessert e abbassano la percezione del dolce”, afferma Allegretta.

Per Giuseppe Amato, del ristorante La Pergola di Roma, il gelato è «un elemento che inseriamo all’interno del piatto per creare un equilibrio di gusti, colori, temperature e consistenze». Alla Pergola, lo studio del dessert è il frutto della collaborazione tra cucina e pasticceria al fine di costruire un percorso equilibrato e coerente, frutto della ricerca di un equilibrio di consistenze, temperatura ed estetica. «Da noi l’esperienza non è percepita completa senza la conclusione dolce - afferma Amato -. Offriamo la storia, l’innovazione, il gusto e la creatività». A certezze classiche, per esempio il gratinato alla mandorla con lamponi freschi accompagnato da un gelato alla mandorla, si affiancano proposte innovative secondo la stagionalità della materia prima, come il Mont Blanc al caffè bianco con salsa di cachi, castagne e tartufo bianco d’Alba, dalla carta autunnale.

Storia e innovazione vanno a braccetto anche all’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense, dove, racconta Antonio Montalto, «i clienti chiedono sapori del territorio e dolci della tradizione. Assecondiamo questo desiderio, anche se le tecniche moderne e la conoscenza della materia ci aiutano a trasformare i dolci classici per rispondere alla crescente richiesta di leggerezza. In carta ora ho ricotta, pere e cioccolato: ricotta liquida, frullata con acqua frizzante naturale, senza zucchero; pere cotte sottovuoto nel caramello; e cioccolato a ricoprire la mousse di ricotta. La leggerezza può essere raggiunta anche attraverso consistenze aeree, montando, incorporando elementi come le meringhe». Risultati? All’Antica Corte Pallavicina l’85% dei clienti ordina il dessert.

«Noi cerchiamo di coniugare tre elementi molto semplici: la selezione degli ingredienti, la tecnica e il gusto - racconta Luca Lacalamita, dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze -. In carta abbiamo diverse proposte. C’è sempre un dessert caldo, uno al cioccolato, uno più concettuale, ma il fil rouge che li accomuna è dato da leggerezza, gusto, tecnica e presenza della frutta». All’Enoteca, la fine del pasto ha la stessa importanza del resto del menu. Il dessert in sé è solo uno degli elementi di un nuovo percorso di degustazione dolce a fine pasto, «per dire al cliente che anche nella pasticceria abbiamo la stessa cultura, tecnica e professionalità che nel resto della cucina». Si comincia con il predessert al bicchiere (“Un piccolo dessert a base di frutta di stagione, pensato per resettare il palato”), si prosegue con il dessert e poi con “i piccolini”, petit fours serviti ciascuno su un supporto diverso, sorbetti e gelati; segue il servizio dei cioccolatini, con una ventina di praline fatte in casa. Un dessert presentato nel 2016 e in costante evoluzione è la tartelletta di frutta e verdura di stagione: un anello di pasta frolla, sul fondo crema pasticciera aromatizzata con chiodi di garofano, sopra una selezione di frutta e verdure baby biologiche, candite leggermente con uno sciroppo la cui consistenza varia a seconda della materia prima. A chiudere, erbe aromatiche sabbiate.

La frutta, come si vede, è un altro elemento ricorrente, particolarmente caro anche a Loretta Fanella, oggi consulente e formatrice, e prima una luminosa carriera in vari ristoranti (El Bulli, Enoteca Pinchiorri, Cracco). «Uso molto la frutta - dice Fanella - perché, specie se matura, apporta al piatto dolcezza e freschezza. E poi è colorata e dà una nota acida che aiuta a equilibrare e pulire il palato. In alcuni dolci, metto anche cubettini di limone tagliati a vivo: creano effetto sorpresa e danno freschezza, puliscono il palato e fanno sì che si possa ricominciare da capo. Poi, gioco sui contrasti: morbidezza-croccantezza, caldo-freddo, acido-dolce, tutte sensazioni che rendono il dolce interessante, fanno dire “lo voglio finire tutto”, perché ogni cucchiaiata è un’emozione». Per Fanella, l’impatto visivo vale quanto il gusto: si mangia anche con gli occhi no? E si “mangia”, o meglio è bene vedere anche il pasticcere. Fondamentale per proporre e vendere il dessert è infatti, secondo Loretta, l’uscita del pasticcere in sala: “Così, il cliente vede chi prepara i dessert e non riesce più a dire di no. Farsi conoscere è importante per fidelizzare». E anche per vendere meglio e far crescere il business.

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